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Tra realismo e welfare state

Tra realismo e welfare state

Jinzo spara a zero sul sito W2W, definendolo un “bidone liberal” e prendendosela (anche) con questo blog che ne espone il bannerino. Le tesi sono semplici e, in parte, da me condivise.

Dice Jinzo:”E’ tempo di riconoscere che il welfare non possa essere riformato. Dev’essere abolito”

Va bene, mettiamola così: se io e Jinzo costituissimo ex novo uno Stato e avessimo il compito di organizzarlo lo concepiremo senza welfare o con un welfare decisamente leggero (in fondo lui propone la carità privata come soluzione. Ma se quella carità privata diventa deducibile dall’imponibile fiscale,in qualche modo lo Stato la mano ce la mette. E’ un welfare state leggerissimo, ma c’è.) Ma così non è. Viviamo in uno stato lungo e stretto. Uno stato che,per conformazione geografica, presenta differenziali economici altissimi oltrechè stili di vita completamente differenti tra Nord e Sud. Uno stato che, per essere unito, ha avuto bisogno di un sistema sociale incisivo, riequilibratore e invasivo che cercasse (senza riuscirci) di omogenizzare le condizioni di nord e sud del paese. Questo sistema ha fallito, perchè si è rivelato un sistema che non incentivava l’individuo a migliorarsi ma che lo sorreggeva passivamente, senza chiedergli niente in cambio. Se vuoi fai, se non vuoi ci pensa lo Stato. Una follia. Ma questo sistema è esistito e non possiamo far finta di niente, non possiamo svegliarci un bel giorno e dire “punto e a capo”. Perchè il tessuto sociale di questo paese finirebbe distrutto sotto il peso di una guerra tra ricchi e poveri. E’ serio, e davvero riformista, fare un’analisi della situazione attuale e cercare di porvi rimedio, introducendo misure che vadano nella direzione opposta a quella dell’amortizzazione sociale passiva. Già fare accettare queste misure dal corpo sociale sarebbe un ottimo risultato. Le riforme non si possono imporre a colpi di decreti ingiuntivi; perchè siano efficaci esse devono passare per la convinzione dei cittadini che alcuni sacrifici e alcune rinunce siano strumentali per un futuro migliore. E’ evidente a tutti ( e lo ribadiscono ogni giorno gli osservatori economici internazionali e non) che la Legge Biagi vada nella direzione giusta, introduca forme di flessibilità auspicabili e de-congeli il mercato del lavoro. E’ talmente evidente che anche i numeri nudi e crudi ce lo confermano, pur in un periodo di sostanziale diffcoltà economica del nostro paese. Ma è altrettanto evidente che i cittadini, i lavoratori, gli operai, i giovani di questo paese hanno percepito la Legge Biagi come un problema da risolverre non come la (parziale) soluzione di alcune patologie croniche del nostro sistema. Dobbiamo chiederci il perchè. Ne abbiamo il dovere, noi che ci interessiamo al mondo del lavoro e alle sue dinamiche, noi che difendiamo quel pacchetto legislativo e ci impegniamo a renderlo migliore. Dobbiamo chiederci perchè, il popolo, ha percepito questa riforma come negativa, perchè la osteggiata come fosse una iattura. Non è solo un fatto di privilegi, non possiamo derubricare a “bambini viziati che non mollano la presa” ogni protesta che viene dal tessuto sociale di questo paese. Welfare to work ha il merito, grandissimo, di cercare di fare questo. Cito dal suo incipit: “un sito dove confrontare, senza pregiudizi ideologici, le diverse opinioni sul welfare”. Senza pregiudizi ideologici. Quelli che ti fanno dire che il welfare va abolito sono pregiudizi ideologici. Non perchè l’idea in astratto sia sbagliata, ma perchè è assolutamente impraticabile o se è praticabile lo è soltanto sfasciando la tenuta sociale del paese. Per ottenere quello che chiedi dovremmo dire “si” dall’oggi al domani a milioni di nuovi poveri e questo non perchè il “welfare” garantisca la ricchezza e l’anarcocapitalismo no. Ma semplicemente perchè il nostro paese non è pronto a un passo di quel tipo, il nostro paese è stato abituato ad essere sostenuto e incentivato. Proprio come un bambino che impara faticosamente a camminare. Non lo aiuti togliendogli ogni sostegno da un giorno all’altro, lo aiuti insegnandogli ad essere autonomo e abituandolo a comportarsi come se quei sostegni ci fossero solo in caso di bisogno.

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