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Ripartire da Ichino

Pietro Ichino è un sindacalista, o un ex sindacalista che dir si voglia. E’ una persona che, dovendola classificare, potremmo definire “di sinistra” senza timore di essere smentiti. Ma le proposte intelligenti sfuggono spesso (per fortuna) alle logiche politiche e partitiche  e finiscono per diventare trasversali. Così capita che Ichino lanci una provocazione riguradante l’impiego statale (e la sua scarsa produttività). E’ un argomento difficile da trattare, specie se sei un ex sindacalista delle CGIL. Ad Ichino andrebbero fatti i complimenti solo per il coraggio e l’onestà intellettuale, senza nemmeno entrare nel merito della proposta. Che poi “il merito” sia decisamente di stampo liberale e anti-statalista, è un altro discorso. Quella di Ichino è una proposta da non lasciar cadere nel vuoto, un’autentica opportunità. Un’occasione per aprire un dibattito che non si è mai affrontato seriamente (e per seriamente intendo lontano da logiche di partito) e per dialogare proficuamente con persone che conoscono il mondo del lavoro molto meglio di quelli che adesso lo dovrebbero regolare (ministro e ispettori, tanto per non far nomi). Le obiezioni poste ad Ichino circa la demagogicità della sua uscita sono da respingere; con decisione. Primo perchè sarebbe ideologico (e sbagliato) approcciarsi in questo modo al mondo del lavoro e rifiutare un dialogo che può essere decisamente costruttivo,solo perchè la prima mossa viene  da sinistra e da chi,magari in passato, ha avuto posizioni opposte a quelle che oggi propugna (ce ne fossero di “ripensamenti” così). Secondo perchè, in una prospettiva prettamente realista, in cui a rilevare sono i risultati che si portano a casa e gli obbiettivi da perseguire a breve termine, non si può negare il fatto che al centrodestra manchi la forza per intraprendere riforme coraggiose in questo campo. Manca innanzitutto per evidenti limiti interni (mancanza di pensatoi adeguati o pessimo utilizzo di quelli esistenti,visti spesso come una palla al piede) e per volontà politiche (pensiamo al bacino elettorale di Alleanza nazionale o dell’Udc e all’attenzione posta al pubblico impiego). Ma manca sopratutto perchè la sinistra (demagogica,questa sì) non lascerebbe mai al centrodestra la possibilità di riformare seriamente il mercato del lavoro. Lo abbiamo visto con l’art.18 e la Riforma Biagi, dove si sono sfiorate tensioni sociali altissime per un provvedimento che creava molta meno precarietà rispetto al Pacchetto Treu. Passa per l’inclusione di quella sinistra riformista di cui Marco Biagi era l’espressione migliore, la possibilità di riformare questo paese. Perchè non è detto che la “Grosse Koalition” sia da intendere solo come un grande papocchio parlamentare. Può essere qualcosa di più: può essere una parte politica (il centrodestra) che si apre alle istanze modernizzatrici che vengono da chi ha una diversa militanza alle spalle ma un uguale tendenza al riformismo. Si tratta di aggregare chi,come Ichino, condivide afinità sui temi più importanti (economia e lavoro) creando una piattaforma non politica di discussione. Ne guadagnerebbe il paese nella sua interezza e fare riforme strutturali e coraggiose potrebbe non essere solo un miraggio. Questo nell’interesse dell’Italia, gli interessi di bottega e di coalizione mettiamoceli alle spalle. Speak Corner: JCF, ABR, MENO STATO, DESTRA LAB, JA/ATROCE, ROBINIK

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