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The Bogeyman

Sui giornali statunitensi, da qualche giorno, si parla più di lui che del presidente Barack Obama. Soprattutto da quando i democratici – sembra su indicazione strategica dei guru clintoniani Stanley Greenberg e James Carville – hanno deciso di dipingerlo come «il vero leader del partito repubblicano», per rappresentare di fronte all’opinione pubblica l’immagine di un Gop «violento ed estremista ». E dunque non in grado di offrire una plausibile alternativa di governo. Il nuovo bogeyman scelto dai media per spaventare l’elettorato moderato ha addirittura avuto l’onore di essere citato personalmente dal capo dello staff di Obama, Rahm Emanuel, durante un’intervista televisiva. Senza contare la frettolosa retromarcia a cui ha costretto il nuovo leader del Republican National Committee, Micheal Steele, che aveva avuto la malaugurata idea di rivolgergli alcune (tiepidissime) critiche. Per non parlare dell’ovazione interminabile che gli ha riservato, domenica scorsa, la platea di attivisti della Conservative Political Action Conference, prima e dopo il suo lunghissimo intervento. Ma chi è, e da dove viene esattamente questo Rush Limbaugh?

Cinquantotto anni, bianco, ben piazzato, Limbaugh nasce professionalmente come deejay per una stazione radiofonica di Pittsburgh, in Pennsylvania. Con il nome d’arte di “Jeff Christie”si muove in lungo in largo per gli States, durante gli anni Settanta, passando di radio in radio (Missouri, Kansas, California). La svolta arriva nel 1987, quando l’amministrazione Reagan abolisce la Fairness Doctrine (una sorta di “par condicio” a stelle e strisce) che obbligava gli editori ad ospitare per un tempo equivalente commentatori di opinioni politiche contrapposte. «Ronald Reagan – si legge in un editoriale pubblicato al tempo dal Wall Street Journal – ha demolito questo muro. E Rush Limbaugh è stato il primo uomo a proclamarsi libero da questa dominazione, in stile tedesco-orientale, dei media liberal».

La nuova trasmissione di Limbaugh, trasmessa da una radio locale di Sacramento e finalmente svincolata dai limiti della “correttezza politica”, incontra presto una popolarità crescente. Rush è dotato di un senso dell’umorismo istintivo ed irresistibile (almeno per chi non lo odia), riesce ad imitare alla perfezione la voce degli avversari politici, ha una visione lucida, formalmente impeccabile ma anche estremamente “popolare” della filosofia conservatrice. Soprattutto, poi, riesce a parlare per 3-4 ore consecutive di politica, senza annoiare mai. Nell’agosto del 1988 viene notato da Edward F. McLaughlin, il presidente di Abc Radio, che gli propone di trasferirsi a New York per iniziare un talk show nazionale. Rush accetta.

Il Rush Limbaugh Show debutta appena prima delle convention di democratici e repubblicani (quell’anno, lo scontro alle presidenziali fu tra George Bush Sr. e Mike Dukakis): il successo è immediato e inarrestabile. E presto lo show viene trasmesso da oltre 650 stazioni radio su tutto il territorio nazionale. Il format, più o meno, è lo stesso che viene proposto ancora oggi, oltre vent’anni dopo, malgrado la nascita di centinaia di imitatori del suo stile inconfondibile. Nel 1994, insieme a Newt Gingrich, è considerato è il principale artefice dell’onda repubblicana che travolge i democratici al Congresso.

Nel 2006, i dati ufficiali gli attribuiscono un’audience minima di 13,5 milioni di ascoltatori. Numeri senza alcun paragone nel mercato Usa, che lo portano a firmare – nel 2001 – un contratto da oltre 30 milioni di dollari all’anno. Contratto prolungato recentemente fino al 2016 per un totale di oltre 400 milioni. Si tratta del record di ogni tempo nel mondo del broadcasting, radiofonico o televisivo, statunitense. Forse non sarà l’anti-Obama, come giurano i suoi fan, ma una cosa è certa: Rush sa fare bene il suo mestiere. E il suo mestiere è quello di convincere gli americani a “rifiutare” le idee e le politiche dei democratici. Negli ultimi 20 anni ci è riuscito piuttosto spesso, per il futuro si vedrà.

(domani su Liberal quotidiano)

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