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Ieri sera, Rai Storia. Documentario su Tony Blair. Ed è chiaro che si è parlato di Iraq, di guerra, dei rapporti con Bush. Ci mancano quei due. La loro capacità di fare le scelte più impopolari perché le ritenevano le più giuste. L’aver capito, prima di chiunque altro, che armi di distruzione di massa o no, in Iraq si gioca una partita molto più grande di quella che hanno tentato di raccontarci Hans Blix e il mainstream pacifista. Il pronunciare con orgoglio le parole libertà, uguaglianza, democrazia. Senza vergognarsi, senza fare mai un passo indietro, rinsaldando un’alleanza che ancor prima che politica e istituzionale è e sarà un’alleanza di valori. Se ne sono sbattuti della Francia, della Germania, della Vecchia Europa. Hanno parlato ai dissidenti, sono stati per loro una speranza. Il discorso di Tony Blair a Chicago e quello dopo gli attentati a Londra assieme a quelli pronunciati da George Bush durante il secondo giuramento e a Praga rappresenteranno sempre la stella polare per ogni strategia globale di democrazia.  I successori, ahinoi, non sono nemmeno lontanamente alla loro altezza. Non Barack Obama, a cui manca il coraggio necessario per dire in faccia ai dittatori quel che i dittatori non vogliono sentirsi dire. Non David Cameron (e costa molto ammetterlo) che si porta dietro la zavorra di Calamity Clegg, il ministro più antiamericano e vagamente anti-Israele che la Camera dei Comuni abbia mai conosciuto.

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