La partita di Cameron

David Cameron è stato tra i primi leader europei a mettersi in mostra di fronte alla vicenda libica, peccato per lui che la scena gli sia stata rubata dal presidente francese Nicolas Sarkozy che, in pieno spirito da grandeur, ha trascorso un intero giorno ad annunciare che i suoi caccia avrebbero bombardato le forze di Gheddafi nel giro di poche ore, salvo aspettare la notte di sabato perché effettivamente entrassero in azione. Nel frattempo, venerdì scorso il Primo ministro britannico ha reso chiari i suoi pensieri prima in un’intervista concessa a Sky News. Le lancette dell’orologio che correvano, la necessità di fare qualcosa il più presto possibile, il dovere morale di non tirarsi indietro per dare una mano ai ribelli del regime: questi in sostanza i punti cardine del pensiero cameroniano.

Ma cosa ci guadagna esattamente Cameron? È quantomeno ironico che il governo di Londra abbia deciso di intraprendere una guerra con un Paese con il quale era sceso a patti durante i mandati di Tony Blair, lasciandosi alle spalle l’attentato di Lockerbie del 1988 e concedendo all’autore, Mohamed al-Megrahi, di tornarsene a casa perché apparentemente in fin di vita. I maligni commentarono che dietro alla tregua tra Gran Bretagna e Libia c’era la mano lunga della British Petroleum, finita al centro della critica mondiale per l’incidente alla piattaforma di sua proprietà nel Golfo del Messico. Così come l’opinione pubblica d’Oltremanica non nascose il forte malcontento quando in televisione apparvero le prime immagini del viaggio di Blair a Tripoli, così oggi giudica rischiosa l’opzione militare contro Gheddafi. O meglio: per il 53% degli intervistati dall’istituto ComRes per ITV News, i soldati di sua maestà non dovrebbero rischiare di morire per difendere i ribelli libici.

Nel frattempo, mentre Cameron ieri pomeriggio ribadiva le ragioni dell’intervento militare ai Comuni, il Capo dello staff della Difesa, il generale Sir David Richards, è andato a sbattere contro la posizioni dell’esecutivo, sottolineando come non sia concesso dai termini delle risoluzione del consiglio di Sicurezza dell’Onu attaccare il leader libico. Il generale Richards è stato contraddetto immediatamente da alcuni esponenti della maggioranza, tra cui il segretario alla Difesa, Liam Fox.

Negli ambienti conservatori nei giorni scorsi si sono chiesti quando Cameron abbia deciso di indossare i panni dell’aquila. La componente più dura del partito non ha accettato di buon grado la scelta di passare per i bombardamenti, mentre tra gli alleati liberaldemocratici è assordante il silenzio: il partito di Nick Clegg è in caduta libera, sotto il 10% secondo gli ultimi rilevamenti di YouGov. A ieri i Tories sono invece al 36%, i laburisti pur non facendo nulla al 43%.

Cosa ci guadagnerà quindi Cameron? Per capirlo, conviene più che altro dare un’occhiata agli “hot topics” sui media inglesi delle ultime ore: al primo posto c’è la Libia, poi arriva il Giappone, mentre alle loro spalle si sta facendo largo la voce Budget 2011: domani il Chanecellor George Osborne presenterà la nuova manovra economica. I cui effetti potrebbero contare molto di più delle bombe sganciate dai Tornado.

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