Sore Loser

Quando, nel 2007, Al Gore vinse il Premio Nobel per la Pace, furono in molti negli Stati Uniti a storcere il naso. A parte uno sparuto manipolo di pasdaran ambientalisti e i loro protettori mediatici, infatti, in patria Gore non godeva (e non gode) di una reputazione particolarmente solida. In Italia, naturalmente, è tutta un’altra storia. E quando è sbarcato nel Belpaese per provare a salvare la sua televisione (Current TV: 0,04% di share nel bouquet Sky) dalla spietata cesoia di Rupert Murdoch, il gotha degli intellettuali nostrani lo ha accolto come se si trattasse di una sorta di incrocio tra Mahatma Gandhi e Winston Churchill. Con l’aggiunta, nel proprio curriculum, di un non trascurabile fiore all’occhiello: l’invenzione di Internet. Sì, perché il buon Albert Arnold Gore Jr., detto Al, è ricordato nella cultura popolare statunitense soprattutto per l’incredibile gaffe commessa nel 1999 quando, durante le primarie democratiche, in un’intervista alla CNN cercò senza pudore di attribuirsi la paternità della Rete. Negli States ancora ridono.

Ma chi è davvero questo personaggio che da noi viene incensato come un guru del terzo millennio mentre a casa sua ha subito l’onta di essere additato come un “sore loser” (un perdente che non vuole accettare la sconfitta)? Proviamo, molto brevemente, a ripercorrere insieme la sua biografia. Il buon Al nasce a Washington D.C. il 31 marzo 1948, figlio di un deputato (e poi senatore) del Tennessee. Frequenta il liceo con risultati che definire mediocri è un complimento (è il 25° in una classe di 50 alunni), ma nonostante tutto riesce a entrare ad Harvard grazie ai contatti del padre. Neppure il gioiello delle università Usa, però, lo vede brillare per talento o per costanza.

Tanta modestia trova uno sbocco naturale nella carriera politica. Dopo la laurea, parte per quattro mesi in Vietnam – dove riesce ad evitare accuratamente il fronte – e poi torna finalmente in Tennessee, candidandosi al Congresso dello stato. Gore vince, senza troppi sforzi suoi e con molti sforzi del padre, raggiungendo la sua prima carica pubblica. Nel 1984 si presenta al Senato nazionale e resterà il “senatore junior” del Tennesse fino al 1992, quando Bill Clinton lo sceglie come candidato alla vicepresidenza.

Nel 1988, però, Al aveva già deciso di tentare la corsa solitaria alla Casa Bianca, con una strategia elettorale molto “innovativa” che lo lascia con il dubbio onore di essere uno dei pochi esseri umani ad aver subito una sconfitta da parte di Michael Dukakis. Dopo la batosta scrive il libro “Earth in Balance” in cui già si intravedono le basi della futura deriva neo-oscurantista. Gli anni alla Casa Bianca gli impediscono di coltivare seriamente questa sua fissazione. In compenso, il vicepresidente trova il tempo di “inventare Internet”, spingere per la firma del Trattato di Kyoto (senza neppure portarlo al Senato per una ratifica assai improbabile) e costruirsi una fama di scarso comunicatore che viene ridicolizzata anche negli ambienti vicini alla sua stessa parte politica.

Finita l’era Clinton,  il vicepresidente diventa il candidato naturale del suo partito. La crescita economica sembrerebbe preludere ad una conferma trionfale dell’amministrazione democratica. Ma  riesce a perdere. Dopo una lunghissima notte in cui i network assegnano la Florida prima a lui, poi a Bush e infine a nessuno dei due, gli uomini di Gore tentano con ogni mezzo – legale e non – di ribaltare il risultato che vede i repubblicani avanti di una manciata di voti. Per oltre un mese il sistema politico precipita nel caos, poi la Corte Suprema ristabilisce l’ordine e assegna di fatto la presidenza a Bush. A questo punto, il “sore loser”, come ormai lo chiamano quasi tutti, scompare. Per anni. Qualcuno lo avvista in località sperdute con una lunga barba incolta, qualcuno parla di crisi mistica, qualcuno teme per la sua salute. L’unica cosa certa è che in tutte le sue biografie c’è un “buco” che va dal novembre 2000 al dicembre 2002, quando annuncia che non si ricandiderà alla Casa Bianca. Per il suo ritorno sulla scena politica, però, bisogna aspettare un altro paio d’anni.

Nella sua “seconda vita”, Gore si ricostruisce un’immagine da paladino ambientalista, che però fa a cazzotti con le sue abitudini personali. Appena dopo la presentazione del film-documentario “An Inconvenient Truth”, che gli frutta un Oscar nel 2006, si scopre che la sua casa-di-20-stanze-e-piscina nei sobborghi di Nashville consuma qualcosa come 221mila kilowatt-ora all’anno. Venti volte la media nazionale americana. Alla faccia dei “cambiamenti climatici causati dall’uomo”. Ma è tipico del personaggio. Gore spingeva per l’intervento militare in Iraq negli anni ’90, prima di opporsi nel 2003; ha “inventato Internet”, prima di denunciare la Rete come la causa di ogni imbarbarimento politico; era favorevole al free trade, prima di presentare una piattaforma ultra-protezionistica nel 2000. Un perfetto statista da Annozero.

(oggi in edicola su Libero)

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