AGENDA FARAGE

Nel grigiore di questi giorni che però pare piaccia alla maggioranza degli osservatori, spicca Nigel Farage, il leader dello United Kingdom Indepence Party, movimento libertario britannico che siede nell’Europarlamento. E non solo per via delle sue camicie che ci ricordano da dove arriva, ma soprattutto per le parole che usa nel descrivere la situazione dell’Unione europea. Dice quello che dovremmo sentire da uno dei nostri rappresentanti, ma l’ordine tra i partiti è quello di battere le mani a Mario Monti, anche quando quest’ultimo nel suo intervento al Senato chiede di essere ascoltato, piuttosto che di essere applaudito.

I media spesso confinano lo UKIP nella categoria destra estrema, ma con nazionalisti e neofascisti Farage ha ben poco da spartire. Casomai, parte da un concetto lontano nel tempo, inizialmente accennato nella Magna Carta Libertatum del 1215 e poi issata a motto di battaglia alla vigilia della Rivoluzione americana: no taxation without representation.

Presa la parola nella seduta del 16 novembre, ha chiesto ai tecnocrati che gli stavano davanti come osassero, da non eletti, imporre a Grecia e Italia governi guidati da altra gente non eletta. Compreso quel Monti, altro architetto di un sistema arrivato all’apice del disastro: l’Europa stessa. Punta il dito verso José Barroso che tiene lo sguardo basso. Poi si rivolge Herman Van Rompuy (non è la prima volta, nell’ultima occasione gli domandò spudoratamente chi diavolo fosse) e lo scredita con fin troppa facilità, forte del fatto che la sua carica di President of the European Council non è altro che nominale.

L’Europa vacilla, perde i pezzi: era stata progettata per evitare che la Germania ordinasse e disponesse, ma si è tornati indietro di anni, aggiunge Farage che non manca di ricordare come l’ultima volta, per disfarsi delle prepotenza tedesca, fu necessario il sangue (molto British), scatenando l’insofferenza del deputato socialdemocratico Martin Schulz, il kapò di berlusconiana memoria. Nell’Ue, suggerisce Farage, è stata sospesa la democrazia eliminando inizialmente il Primo ministro greco George Papandreou per aver fissato il referendum sul destino della Grecia nell’area Euro e in secondo luogo Silvio Berlusconi. Lo stile che adotta per ribadire il concetto è quello consolidato, tipico dell’agone britannico che è esercitato alla House of Commons durante il Question Time del mercoledì.

“Nessuno vi ha eletti”, sottolinea Farage. Non hanno alcuna legittimazione democratica per il ruolo che svolgono. Sembra un romanzo di Agatha Christie: invece è tutto vero e gode del sostegno, Italia compresa, di una fetta di opinione pubblica che, curriculum alla mano, si è avvalsa di studi all’estero e che da fuori confine premeva di far sapere come si sentisse indignata per la mancanza di serietà e decenza nella penisola. Salvo poi aggirare quella cosa inutile chiamata elezioni per affidare le chiavi a chi non ha ricevuto alcun mandato dai cittadini. 

“What in God’s name gives you the right to say that to the Italian people?”, si impunta Farage rivolgendosi agli alti esponenti del tecnicismo europeo – e indirettamente a tutti gli altri. È l’interrogativo che dovrebbero porsi i politici italiani, ma sono troppo impegnati a fare a gara di piaggeria con il nuovo esecutivo. Fortuna che ora abbiamo un’Agenda Farage.   

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