Linsanity

Pareva che la stagione dei New York Knicks anche quest’anno si sarebbe conclusa con un nulla di fatto. La squadra era stata costruita senza arte né parte, annoverava tra le proprie fila due superstars come Anthony e Stoudemire, ma giocava male, difendeva peggio e si notava a occhio nudo l’assenza di un vero playmaker. Coach D’Antoni, disperato, tentava addirittura di riesumare Baron Davis dal limbo dorato in cui era finito a Cleveland, scalzato dalla mente giovane e dal fisico scolpito della prima scelta assoluta Kyle Irving. Operazione, neanche dirlo, miseramente fallita. 

Ormai il coach era davvero a un passo dal baratro, anzi, probabilmente con un piede già oltre: dopo 3 anni passati a scambiarsi figurine con chiunque, i suoi Knicks erano sostanzialmente privi di un’ossatura, un’identità, un gioco. Per avere Anthony avevano smontato un nucleo giovane, solido, con cui avrebbero potuto togliersi grandi soddisfazioni aggiungendo solo un paio di tasselli. In cambio avevano ottenuto una stella motivata, ok, ma anche un grosso divoratore di palle a spicchi, allergico o quasi a tutto ciò che avviene quando l’arancia ce l’hanno in mano gli altri.

Quindi il giochetto era semplice: restiamo in partita fino al 4° periodo e diamo la palla a Carmelo, sperando che si inventi qualcosa, e pazienza se Mister 100$ Stoudemire si ritrova a fare il bloccante o a rovistare nella spazzatura sperando di accalappiare qualche rimbalzo offensivo. Perfetto, anzi no. D’Antoni dà un’occhiata dietro di sé e, tra un insulto e un invito poco cortese a cambiare residenza, si ricorda di quella point-guard dagli occhi a mandorla arrivata a inizio anno dalla NBDL, tale Jeremy Lin. Senza ormai più nulla da perdere, lo getta nella mischia, senza sapere di avere in tal modo scoperto una delle più grandi miniere d’oro della storia… nell’orticello dietro casa.

Il resto è ormai storia: dal 4 febbraio Lin sta viaggiando a oltre venti punti ad allacciata di scarpe (nell’unico match in cui non ha messo a referto almeno un ventello ha comunque smazzato tredici assist), ha realizzato il suo primo buzzer-beater nella vittoria contro i Toronto Raptors, è stato convocato nella squadra dei sophomores per l’All Star Game di Orlando e con lui in quintetto (e senza Melo infortunato) i Knicks hanno un record di 9-1 (!!!). Last but not the least, è ovviamente diventato l’idolo indiscusso del Madison Square Garden, tanto che la sua canotta è andata esaurita più di una volta, e per chi alla lettura non fosse avvezzo riguardo all’organizzazione del merchandising negli USA, faccio notare che ciò rappresenta un evento più unico che raro.

Cercando una disamina più tecnica del fenomeno, è evidente che Lin ha dato ai Knicks ciò di cui necessitavano: una point-guard veloce di testa e di mano, che sa giocare, e bene, il pick&roll avvantaggiando così Stoudemire e Chandler, giocatori che hanno costruito le proprie fortune in attacco proprio grazie a questo tipo di gioco (una mano l’hanno ricevuta anche da Nash e CP3, a onor del vero). Discreto tiratore dall’arco, deve migliorare sicuramente in difesa e nella gestione delle palle perse, unico vero suo tallone d’Achille, almeno per il momento. Non ha paura di tentare la penetrazione, e così facendo attira gli aiuti delle difese avversarie e crea spazio per spettacolari alley-hoop e conclusioni da tre.

Praticamente lo Steve Nash asiatico, solo un po’ più alto. Si vede a prima vista che il buon Jeremy, sera dopo sera, sta crescendo in fiducia nei propri mezzi e, soprattutto, in quella del resto del team, superstars comprese. Laureato ad Harvard (non certo l’ultimo dei junior college), rappresenta una manna dal cielo anche per il Commissioner David Stern: viste le sue origini orientali (padre taiwanese, madre cinese) è letteralmente esploso in quanto a popolarità dall’altra parte del Pacifico, e si sa quanto la parola “Cina” conti in termini di marketing dalle parti dell’Olimpic Tower.

Una storia incredibile, americana se ne esiste una, che valeva la pena raccontarvi. Quanto durerà? Sicuramente Lin si è garantito una bella fetta di futuro in questo febbraio: il premio giocatore del mese è praticamente suo e ha dimostrato di avere diritto di cittadinanza nell’NBA. Sarà interessante valutare le sue prestazioni quando l’effetto sorpresa sarà esaurito e le difese avversarie guarderanno a lui come al playmaker titolare di una squadra con ambizioni quantomeno da Finale di Conference. Come sempre, quindi, sono costretto a rimandarvi ai playoffs, vero banco di prova per questo ragazzo che in meno di un mese è riuscito a conquistare il cuore della Big Apple… senza nemmero giocare al Rucker Park! It’s Linsanity!
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