Love Actually

Finalmente. Dopo anni di antiberlusconismo e mesi di “Monti sì, Monti no” la politica italiana ricomincia a discutere di temi. Articolo 18, Giustizia, Rai e, magia delle magie, diritti civili. Era un bel pezzo che aspettavamo questa accelerazione. Prima Angelino Alfano ha posto il tema a Orvieto, poi l’Unione Europea e, per ultima, la Cassazione.

E allora discutiamone. Che il succo di chi fa politica sta tutto qui e spesso rende vaghi – grazie a Dio – i confini tra destra e sinistra. Chi è contrario ai cosiddetti “matrimoni gay” ha ragioni certamente importanti e bene argomentate. Tuttavia anche noi, che sosteniamo il contrario “da destra”, siamo abbastanza convinti di avere qualche buon motivo per uscire dal mainstream dei partiti che ci rappresentano.

Partiamo da una considerazione, la più semplice di tutte. Noi crediamo nella famiglia, come nucleo fondante della società. La famiglia non è procreazione, o almeno non è solo questo. Se passasse un’idea simile allora dovremmo assumere che le famiglie con un coniuge sterile o malato non sarebbero meritevoli di tutela e che – ex post – andrebbero sanzionati quei nuclei che non fanno figli. Ci pare un’impostazione superata. Al più, dai difensori della famiglia a tutti i costi, ci aspetteremmo un attacco frontale alle “coppie di fatto”: che senso ha garantire tutele e privilegi a chi non accetta di impegnarsi “finché morte non ci separi”? E che senso ha negare quelle tutele a chi, gay o lesbica, è pronto ad amarsi “in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà”?

Non deve spaventare che una posizione di questo tipo arrivi da chi si dichiara apertamente vicino al Pdl. Non siamo soli. Si è detto molto di David Cameron e dei conservatori inglesi. Un po’ meno si è detto di tal Olson (un repubblicano Usa) che qualche anno fa ebbe a dire: “Incoraggiamo le coppie a sposarsi perché l’impegno che esse in tal modo assumono porta benefici non solo a loro stesse, ma anche alle loro famiglie e alla comunità. Il fatto che individui omosessuali vogliano condividere questa istituzione dimostra che gli ideali conservatori godono di un largo consenso. Si tratta di un fatto di cui i conservatori dovrebbero essere lieti, invece di lamentarsene.”

Sempre Olson, centrando perfettamente il punto, spiega: “Il matrimonio è uno dei mattoni fondamentali delle nostre comunità e della nazione. Al suo meglio, è un patto stabile tra due individui che lavorano per creare una dimora in cui regna l’armonia, e che hanno instaurato una proficua collaborazione economica e sociale”. Come ha detto Cameron e come ogni conservatore e liberale dovrebbe mandare a memoria “noi crediamo nei legami che ci uniscono”. E questo vale ben prima e ben di più di quanto le leggi possono stabilire, sancire, permettere o vietare. L’impegno dei conservatori in politica non dovrebbe essere quello di difendere lo status quo ma quello di promuovere e difendere alcuni valori in una società che cambia, innovandone la forma e preservando la sostanza.

Qui la sostanza si chiama amore, impegno reciproco, capacità di essere uno il sostegno dell’altro. Lo stato non viene prima dell’individuo e non viene prima di tutto questo. Lo stato non può “concedere” a due persone di sposarsi, può solo prenderne atto e riconoscere quel rapporto. E deve farlo con equità, perché quel che non possiamo accettare è che situazioni simili siano regolate con leggi diverse e – magari – discriminatorie.

C’è un istituto che riconosce e tutela le persone che decidono di presentarsi come una coppia davanti alla società a cui appartengono. Quell’istituto si chiama matrimonio. Immaginare soluzioni diverse, casi di esclusione, distinzioni in punta di diritto ci sembra solo l’ennesima trovata statalista per complicare le cose.

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