Una lezione di politica dal Wisconsin

Arriva da Ovest, una lezione di politica per leader e aspiranti leader del centrodestra italiano. Più precisamente arriva dal Wisconsin, uno stato americano di media grandezza (meno di sei milioni di abitanti), a cavallo tra il Midwest e la regione dei Grandi Laghi. Da più di un anno è l’epicentro di un terremoto politico che si è concluso soltanto martedì notte ma che è destinato a far sentire i suoi effetti anche nella corsa alla Casa Bianca.

Proprio martedì, infatti, dopo qualche mese di campagna elettorale senza esclusione di colpi, è ufficialmente fallito il tentatico di recall, di “licenziamento”, orchestrato dal partito democratico e dai sindacati suoi alleati nei confronti del governatore Scott Walker, eletto nel 2010 sull’onda della straordinaria affermazione repubblicana alle ultime elezioni di mid-term (la più larga dal 1946).

Non sono bastate le decine di milioni di dollari investite dalle union statunitensi per “cacciarlo” dallo state capitol di Madison (la capitale dello stato, che i repubblicani chiamano “repubblica popolare di Madison” per l’alta concentrazione di voto liberal); non sono bastate le migliaia di dimostrazioni – pacifiche e non – organizzate dai sindacati di tutta la nazione; non è bastata una lunghissima e ferocissima campagna di stampa che lo ha dipinto come un Hitler turbo-liberista con tendenze al cannibalismo: martedì Scott Walker è andato addirittura meglio che nel 2010, conquistando il 53,2% dei voti contro il 46,3% dello sfidante democratico, Tom Barrett, lo stesso battuto (52,3% contro 46,5%) alle elezioni di mid-term.

Più che entrare nei dettagli di questa anomala tornata elettorale, con soli due precedenti nella storia politica degli Stati Uniti (North Dakota nel 1921 e California nel 2003), ci preme sottolineare come, dalla vittoria di Walker, possa essere tratta una “lezione” più generale. Cosa aveva fatto, di tanto grave, Scott Walker per meritarsi un tentativo di recall? E, soprattutto, perché i cittadini del Badger State hanno voluto riconfermargli la loro fiducia? In fin dei conti stiamo parlando del Wisconsin, non del Texas: uno stato vinto da Barack Obama nel 2008 con 14 punti percentuali di vantaggio, in cui i repubblicani non riescono ad imporsi dai tempi di Ronald Reagan, culla storica del movimento progressista americano e incubatore del sindacalismo a stelle e strisce fin dagli anni di “Fighting Bob” La Follette.

Eppure, in questo scenario per nulla favorevole, Walker è riuscito a confermarsi al di là di ogni aspettativa. Come? La risposta migliore ce la regala un commentatore del “Weekly Standard”, Stephen F. Hayes: «Scott Walker ha vinto per una ragione molto semplice. Ha fatto quello che aveva promesso in campagna elettorale. E quello che ha fatto ha funzionato». Niente di più, niente di meno. La scommessa di Walker nel 2010 era concentrata sui temi della responsabilità fiscale e sui tagli al budget dello stato. E fin dai primi giorni dopo la sua elezione, si era capito che il governatore era pronto a fare quello che aveva promesso. Uno dei suoi primi atti è stato quello di restituire 800 milioni di dollari al governo federale che sarebbero dovuti servire per dare vita ad una tratta di “alta velocità” in Wisconsin.

«Non ci serve – disse Walker – e i nostri contribuenti non possono permetterselo». Un segnale chiaro, recepito immediatamente da sostenitori e oppositori. E seguito all’istante da una serie di riforme storiche che hanno portato il bilancio dello stato da un deficit di 3,6 miliardi di dollari a un surplus di 154 milioni, senza contare il fortissimo ridimensionamento dei sindacati (soprattutto quelli del pubblico impiego), che nel 2011 hanno visto praticamente dimezzato il numero dei propri iscritti e che, finalmente, dopo decenni di strapotere, non tengono più in ostaggio il potere esecutivo e legislativo dello stato. «I risultati contano – conclude Hayes – e questo, più di ogni altro fattore, spiega la vittoria di Scott Walker».

La debacle di democratici e sindacati in Wisconsin, oltre a sottolineare la bontà di un approccio pragmatico e liberale (negli Stati Uniti direbbero “conservatore”) ai problemi dell’economia, mette in luce anche una verità tanto banale quanto dimenticata, soprattutto nel nostro paese. Quando si conduce una campagna elettorale basata su un tema forte (qualcuno sta pensando alla “rivoluzione liberale”?) e si viene premiati dai cittadini, c’è un modo molto semplice per continuare a vincere: mantenere le promesse. Qualsiasi altra strada porta alla sconfitta.

(domani in edicola su L’Opinione)

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