Fat tax, epic fail

Qualcuno ama chiamarla la tassa etica. È il mezzo con il quale lo stato si preoccupa del nostro bene più prezioso: la nostra salute. Ovviamente dando per scontato di farci un favore. Così entra nei nostri frigoriferi e li scoraggia ad ospitare junk food, cibi insani, bevande troppo gassate, cioccolate troppo cioccolatose o dolci troppo dolci. Insomma, in alcuni casi decide al posto nostro, in altri ci rende quanto meno difficile perseguire la diabolica strada verso la perdizione che vorremmo intraprendere.

Qualche esempio? Stiamo parlando dello stesso principio che ha spinto il sindaco di New York, preoccupato per il benessere dei suoi elettori, a proibire la vendita di bibite extralarge. Ma è anche la stessa idea in forza della quale la Francia ha tassato l’olio di palma e, conseguentemente, la Nutella, in aperta sfida ai principi nutritivi del cuoco della nazionale di calcio italiana, che tutte le mattine, prima di un allenamento, la propina per colazione agli Azzurri, accuratamente spalmata su una bella fetta di pane.
E l’Italia non ne è stata esente, ma fortunatamente sembra averla in parte sfangata. L’ultimo decreto sulla sanità ha, dopo strenue discussioni, epurato la tassa sul cibo spazzatura, che il ministro Balduzzi e gran parte dei medici avevano invece sostenuto, ma ha fissato l’obbligo per tutte le bevande analcoliche al gusto di frutta di contenerne almeno il 20%.

Anche la Danimarca ci ha provato. Nel 2011 decise di tassare i cibi con una quantità di grassi superiore al 2,3%. Valeva tutto, dalle merendine ai formaggi. La chiamavano Fat Tax, un nome che va bene un po’ per tutte le tasse di questo genere. Il governo danese pensava evidentemente di fare un favore ai cittadini. E i cittadini danesi non sono certo dei fuscelli: il 47% della popolazione è sovrappeso. Ma  nonostante questo si sentono perfettamente in grado di provvedere da soli al proprio benessere e di poter decidere cosa mangiare e in quale quantità. Così hanno iniziato a passar il confine con la Germania per comprare il cibo proibito ad un prezzo più ragionevole. Il che si è tradotto in una perdita per i negozi danesi. Invece di piazzare gendarmi sul confine tedesco, il governo ha saggiamente deciso di fare un passo indietro, bloccando anche il progetto di una futura tassa sullo zucchero.

La dimostrazione che proibire non funziona? O forse semplicemente un caso a parte. Fatto sta che ai danesi l’idea che il governo gli riempisse il carello di frutta e verdura non è piaciuta. Per niente.
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