Crawling from behind

Trent’anni passano in un giorno, soprattutto se si parla di sicurezza nazionale. Nel marzo del 1983, il presidente Ronald Reagan lanciava il suo programma di difesa strategica: quello che sarebbe passato alla storia come Scudo Spaziale. Su quel preciso programma se ne sono dette tante.

Molti ricordano quell’operazione come una semplice trovata pubblicitaria per far abboccare gli alleati occidentali e fidelizzarli alla causa anticomunista, dimenticando che ad “abboccare” furono soprattutto i sovietici che di lì a poco sarebbero caduti definitivamente. Ma, cosa più importante, in quel discorso si riassumeva tutta la dottrina della deterrenza che aveva accompagnato la vita degli Usa fin dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale.

Oggi, seppellite le macerie dell’Urss e detto addio alla minaccia comunista, nuove sfide mettono a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti. I testi nucleari della Corea del Nord e il programma di arricchimento dell’uranio avviato da Teheran sono in cima alla lista. Tuttavia, se si mette da parte per un attimo il terrorismo islamico, la sua espansione nel continente africano e la guerra dei droni dichiarata dall’amministrazione Obama, poco o nulla resta da dire sulla politica democratica. E balza subito agli occhi un dato: la progressiva riduzione delle installazioni di difesa missilistica ordinate dall’attuale presidente.

Quando l’amministrazione è entrata in carica ha ridimensionato il numero di intercettori da 54 a 30, includendo il taglio delle installazioni nell’Europa dell’est. Una decisione motivata dalla voglia di distinguersi dalla tanto osteggiata politica bushiana e per una sedicente riduzione dei rischi provenienti da quegli scenari. Si è finito per favorire le aspirazioni di stati dichiaratamente ostili, barattando la difesa dei cittadini americani con un’utopistica idea di pace globale. Un errore confermato dal dietro front della stessa amministrazione Usa, che lo scorso venerdì ha annunciato l’aumento del numero delle istallazioni missilistiche a media gittata. Ciò avviene mentre Pyongyang pensa di poter utilizzare il suo arsenale nucleare per intimidire la Corea del Sud, gli Stati Uniti e l’Onu.

Il problema è che potrebbe riuscirci, considerando che i vettori di testate potrebbero raggiungere il suolo americano in poco più di mezz’ora. Il sette marzo le Nazioni Unite hanno approvato la Risoluzione 2094, l’ultima di una serie di mozioni internazionali che fino ad oggi si sono rivelate del tutto inutili. La risoluzione espande le precedenti sanzioni alle transazioni finanziarie, mentre i tentativi dell’amministrazione democratica messi in campo in questi anni, la strategia della pazienza e del dialogo a tutti i costi (la politica del leading from behind) non hanno prodotto alcun risultato.

In conclusione, Washington ha sostituito la linea dura avviata dall’amministrazione Bush, per un’inconsistente politica di negoziato. Stessa trama per quanto riguarda l’Iran. Il suo programma di arricchimento dell’uranio va avanti nonostante le misure internazionali e le risoluzioni di condanna da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Teheran avvia l’installazione di centrifughe avanzate che ridurranno la quantità di tempo necessario per la costruzione di un ordigno nucleare. Il 6 febbraio, l’Ayatollah Khamenei ha respinto l’offerta dell’amministrazione Obama di colloqui bilaterali, accusando gli Stati Uniti di un ingiustificata pressione.

Una pressione ai nostri occhi impalpabile. Parafrasando Reagan: “Deterrenza vuol dire fare in modo che chiunque pensi di poter attaccare gli Stati Uniti, i nostri alleati, i nostri interessi vitali, giunga alla conclusione che i rischi sono superiori ai vantaggi potenziali”. Per Obama, invece, la deterrenza semplicemente non esiste.

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