Come affamare la bestia

Stati Uniti: lo Stato ha chiuso. Si è verificato quel che non avveniva da 17 anni, uno “shutdown”, la chiusura delle attività pubbliche, come parchi, musei, biblioteche, mentre rischiano di slittare i pagamenti degli stipendi per 800mila lavoratori. Ma la vera scoperta è che non muore nessuno. Le prime reazioni dei mercati sono state contenute, nonostante i titoli catastrofisti dei giornali di tutto il mondo: il dollaro ha perso lo 0,2% sulle principali valute di riferimento, ma le previsioni a Wall Street di ieri pomeriggio già puntavano su un’apertura al rialzo.

Insomma, la scoperta dell’acqua calda: quando lo Stato sta male, l’economia va meglio. Prima di tutto, perché si è arrivati alla chiusura delle attività governative? Perché è mancato l’accordo sul budget federale, la nuova legge finanziaria (come la chiameremmo noi) americana che conteneva anche il finanziamento alla riforma sanitaria di Barack Obama. Con una maratona oratoria di 21 ore filate, il senatore Ted Cruz, repubblicano ed esponente del movimento anti-statalista Tea Party, aveva cercato di bloccarla del tutto, senza troppe speranze.

Paradossalmente sono stati i Democratici a venirgli incontro, rifiutando ogni compromesso con i Repubblicani, che proponevano di scambiare l’approvazione del finanziamento con un ritardo di un anno sulla riforma. Intestarditisi sui tempi, i membri del partito dell’asinello hanno dunque perso l’occasione di far approvare la loro riforma-simbolo con un voto bipartisan. A questo punto, mentre le trattative sul budget federale continuano, sono scaduti i termini per il finanziamento dell’attività del governo.

E quindi lo Stato nordamericano ha chiuso i battenti, con grande terrore di tutti gli opinionisti politici ed economici sulle due sponde dell’Oceano. Il fatto che uno “shutdown” sia già avvenuto 17 anni fa dovrebbe rassicurare: c’è già stato e gli Usa non sono morti. Anzi: hanno continuato ad essere la prima potenza economica del mondo. Nell’episodio analogo di 17 anni fa (si parla, dunque, del 1996) furono bruciati circa 2 miliardi di dollari pubblici. Poco, se paragonato alle somme di cui si parla nelle manovre finanziarie americane. Per dare un senso della misura, il debito pubblico attualmente ammonta a 17mila miliardi di dollari e la prima manovra di stimolo economico voluta da Obama era pari a 2500 miliardi di dollari.

Inoltre, come i mercati internazionali ben comprendono, l’economia statunitense non dipende dallo Stato, nemmeno nei settori che solitamente sono attribuiti al settore pubblico. I musei? Tutti i grandi musei Smithsonian di Washington DC appartengono a una fondazione privata. Biblioteche? La New York Public Library (53 milioni di volumi, una delle più grandi del mondo) è nata privata (per volontà del magnate del commercio John Jacob Astor) ed è attualmente finanziata solo parzialmente dal settore pubblico. I parchi? Sono ancora pubblici, ma solo perché gli stati rifiutano le offerte dei privati (che ci sono).

Dal 1900 ad oggi la spesa pubblica (governo federale, stati ed enti locali) è quadruplicata, ma rappresenta ancora poco meno del 40% del Pil. Giusto per fare un paragone, in Italia supera il 50%. Barack Obama conta sull’effetto del ricatto morale. Nel suo discorso alle truppe, che rischiano di rimanere senza salario, ha detto «vi meritate di meglio rispetto a questo Congresso». Ma se l’effetto-catastrofe non ci sarà, sarà piuttosto il suo ennesimo boomerang. Perché gli americani impareranno sulla loro pelle che è possibile vivere e lavorare senza Stato. Sarebbe la più grande vittoria per il movimento Tea Party, che con lo “shutdown” ha ottenuto quel che voleva: affamare la bestia statale privandola dei soldi dei contribuenti, sue risorse vitali.

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