Pascal Salin, un liberale in terra collettivista

salin2A Milano, in questo fine settimana, si è tenuta la conferenza regionale dell’Esfl, la European Students for Liberty, un’associazione pan-europea di studenti libertari. In Italia ha il suo corrispettivo nella Isfil (Italian Students for Individual Liberty). Che vi sia un’associazione internazionale che difende la libertà individuale, anche in Italia, è cosa degna di nota in sé, in un periodo in cui il liberalismo è attaccato da destra e sinistra, incolpato ingiustamente di essere la causa della crisi europea. Ma ancor più degno di nota è il suo ospite d’eccezione, Pascal Salin, uno dei fari del liberalismo contemporaneo europeo. Pur venendo dalla Francia, terra socialista che si sta riscoprendo nazionalista, Salin resta un liberale a tutto tondo. È stato presidente della prestigiosa Mont Pelerin Society, fondata più di mezzo secolo fa da Friedrich August von Hayek e presieduta, nel corso dei decenni, anche da tre grandi nomi del liberalismo italiano, quali Luigi Einaudi, Bruno Leoni e Antonio Martino.

Incontrando a Milano Pascal Salin, ai margini della conferenza organizzata dall’Isfil, abbiamo potuto constatare come questo economista francese non si sia fatto attrarre dalle sirene del socialismo europeista, né del nazionalismo del suo Paese. “Personalmente sono contrario alla centralizzazione europea – ci spiega – ma per la stessa ragione mi oppongo al nazionalismo, che è visibile in Francia, in Ungheria e altrove. La soluzione non passa per il desiderio di separarsi dal resto del mondo, oltre che dall’Europa. Al contrario, la reazione giusta è comprendere che, attualmente, l’Ue non è più uno spazio di libertà. Ciò era chiaro nelle origini del progetto europeo, quando venne istituito il Mercato Comune, il che voleva dire: sopprimere gli ostacoli protezionisti, nazionali, al libero scambio. La sola cosa che si deve fare è accrescere la libertà di scambio e di movimento, non solo dei capitali, ma anche delle persone e delle professioni, delle idee e di tutto il resto”.

E anche lo “scandalo” del Lussemburgo, la mega-elusione fiscale che coinvolge direttamente l’attuale presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, va letto in questa ottica: “Se ci sono dei paradisi fiscali, è perché tutt’attorno persistono degli inferni fiscali. L’Europa vuole sopprimere i paradisi fiscali e preferisce il suo inferno fiscale. Dal mio punto di vista, il caso del Lussemburgo, non è affatto uno scandalo, ma un evento rivelatore di una situazione malata e scandalosa: l’Ue intende punire chi cerca di accumulare capitale. Lo fa, nominalmente, contro le grandi multinazionali, che sono antipatiche a molti. Ma non dobbiamo dimenticare che, dentro una grande multinazionale, ci sono migliaia di piccoli risparmiatori, che sperano di dividersi un utile. La fiscalità di alcuni paesi è diventata un vero e proprio esproprio. Un esproprio legale, ma non necessariamente legittimo”. Di sicuro la soluzione non va ricercata nell’armonizzazione fiscale, dunque in una maggiore centralizzazione in Europa. “non è certo centralizzando queste cattive politiche nazionali (fisco esoso e iper-regolamentazione) in un super-Stato sovranazionale che usciremmo dalla crisi: avremmo, semmai, una super-cattiva politica sovranazionale. Io, per altro, continuo a pensare che la miglior politica economica sia nessuna politica economica. Quindi i governi nazionali, meno agiscono e meglio è: lascino lavorare i loro cittadini”.

Pascal Salin ci fornisce anche una chiave di lettura alternativa agli indipendentismi regionali che stanno proliferando in Europa, a partire dalla Catalogna, che ieri ha votato il suo referendum (solo simbolico) sull’indipendenza: “Non molto tempo fa ho partecipato a una conferenza di indipendentisti veneti, qui in Italia – ci dice Salin – E colpisce il fatto che l’indipendentismo sia divenuto diffuso, proprio come reazione della gente comune alla progressiva centralizzazione dell’Ue”. Fra il nazionalismo, che mira alla chiusura delle frontiere per proteggersi dall’Europa e dal mondo e l’indipendentismo, che mira semplicemente a svincolarsi dalla centralizzazione, c’è sempre un “confine ambiguo”. Per distinguere al meglio le mele marce da quelle sane, si segue “un criterio fondamentale: quello della libertà individuale. Cioè il grado di fiducia accordato agli individui, ai singoli, affinché possano determinare liberamente il loro destino”.

Un criterio, questo, che deve essere seguito anche per dirimere un’altra questione scottante: quella della libertà di religione contrapposta alla laicità. In questo caso, Salin si rammarica del fatto che: “Tanti cattolici denigrino il liberalismo. Ed è un peccato. Perché se c’è il liberalismo è anche grazie al cristianesimo, all’importanza che il cristiano dà alla persona. Se oggi abbiamo un’Europa in cui sono fiorite la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani della persona, lo dobbiamo soprattutto al cristianesimo”. Fatta questa premessa, “Quando parliamo di etica, non dobbiamo mai confondere due differenti livelli. C’è un’etica universale, che può essere accettata da chiunque e in ogni parte del mondo, che sancisce la protezione della persona e del suo diritto di libertà. E c’è poi un’etica personale, che indica cosa sia bene e cosa sia male per ciascuno, a seconda del proprio credo e delle proprie convinzioni. Il problema nasce quando i politici cercano di imporre universalmente la loro etica personale, una volta conquistato il potere”. Questo vale anche per la laica socialdemocrazia che “sta dilagando e cerca di imporre a tutti la propria etica”. Ma comunque, ricordando sempre che: “Quando sento un politico parlare di etica, ho sempre dubbi. Perché i temi etici, sventolati dai politici, non sono altro che giustificazioni della loro ricerca del consenso, per prendere il potere. Il più delle volte è solo ipocrisia”.

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