Once you go black…

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Nelle ultime due elezioni presidenziali il voto degli afroamericani è stata la chiave che ha spinto Barack Obama verso la Casa Bianca. Mitt Romney nel 2012 portò a casa il 59% del voto dei bianchi: addirittura un punto in più di George W. Bush, l’ultimo repubblicano che vinse un’elezione presidenziale.  Difficile chiedergli di fare di meglio.

L’analisi del voto dei neri spiega invece molto bene cos’è successo e qual è stato l’impatto del primo presidente afro-americano della storia dell’Unione: Bush perse contro Kerry 88% a 11% tra i neri mentre il match tra Obama e Romney finì con un chiarissimo 93 a 6. Piccolo problema: nel mentre gli elettori bianchi sono diminuiti (passando dal 77% al 72% del totale) e quelli neri aumentati (passando dall’11% al 13% dei votanti).

Nel prossimo ciclo elettorale, salvo sorprese dell’ultim’ora, non ci dovrebbero essere candidati espressione diretta della comunità afro-americani. Anzi, paradossalmente, ad avere un candidato vicino alle minoranze potrebbero essere proprio i repubblicani. Tranne Donald Trump (che rappresenterebbe un’autentica sciagura da questo punto di vista), tre dei quattro frontrunner hanno solide radici tra le principali minoranze. Ben Carson è un affermato neurochirurgo di colore, Marco Rubio è figlio di immigrati cubani e Jeb Bush è tra i candidati più amati dagli ispanici, oltre ad avere una messicana come consorte.

Vincere tra le minoranze, o comunque limitare i danni tra quella più numerosa, è una chiave essenziale per la riuscita della prossima campagna elettorale dell’elefantino. Non è un caso che l’attentissima National Review dedichi al tema una lunga e interessante analisi. [link]

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