La lezione americana

Molti fattori hanno concorso alla imprevista vittoria di Trump ma, tra essi, certamente e’ stata rilevante la domanda di lavoro, di lavoro vero non di sussidi, della working class americana. L’economia degli Stati Uniti e’ stata alimentata da una forte immissione di liquidità e da interventi diretti dello Stato tradottisi spesso in lavori poveri e precari. Ora la speranza si rivolge ad una politica che liberi la vitalità dell’economia reale attraverso la riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica ed il sostegno alle straordinarie capacità tecnologiche e scientifiche che la nazione possiede. La domanda di autosufficienza attraverso il lavoro cresce in ogni società ed essa può essere soddisfatta solo investendo nelle competenze, riducendo il costo indiretto del lavoro, semplificando le regole complesse che inibiscono la propensione ad assumere.

Molte reazioni italiane, anche di entusiastica condivisione, banalizzano la vittoria di Trump come espressione del populismo ostile alle istituzioni. La lezione del popolo americano merita rispetto ed attenzione per definizione e perché fatta non solo di negazioni ma anche di implicite proposizioni. Il desiderio di identità nazionale che affonda le sue radici nella tradizione e’ un elemento positivo che si contrappone alle pretese di sovversione antropologica delle èlite cosmopolite, dall’aborto fino all’ultimo giorno di gravidanza fino all’eutanasia. Così come la domanda di economia reale e’ antitetica alla finanza creativa che il vecchio ceto politico ha appoggiato come fosse espressione di modernità. Anche a destra viene messo in discussione il pensiero liberista nel nome della doverosa attenzione alle persone, alle famiglie e alle comunità. Potrebbero esserne quindi incoraggiati i neoconservatori ancorati ai principi millenari e proiettati in quella vera modernità che considera l’uomo misura ultima di ogni cosa.

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