10 fatti in ordine sparso sulle elezioni americane

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1) Dimenticatevi la favoletta degli “stati rossi” contro gli “stati blu”. Con uno degli elettorati più polarizzati della storia degli Stati Uniti, la vera linea di demarcazione è stata – come sempre negli ultimi decenni – tra le aree densamente urbanizzate e tutto il resto della nazione (sobborghi, città di piccola e media grandezza, aree rurali). Nelle metropoli, Hillary R. Clinton ha dominato (+72,5 nei confronti di Donald J. Trump). Fuori dalle metropoli, è stata dominata (con percentuali a favore di Trump che oscillano dal +84,6% nelle contee rurali al +49,3% dei sobborghi).

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2) Le elezioni presidenziali del 2016 sono state decise da un centinaio di migliaia di voti su circa 120 milioni di schede scrutinate. Trump ha vinto la Pennsylvania con un vantaggio di 68.236 voti, il Wisconsin per 27.257 voti e il Michigan per 11.837 voti. Totale: 107.330. Se la Clinton avesse vinto in tutti e tre gli stati, sarebbe stata davanti al candidato repubblicano nel conto degli Electoral Votes: 278 a 260.

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3) Anche se in un ciclo elettorale con un candidato – Donald J. Trump – non esattamente in linea con il baricentro politico tradizionale del suo partito, dai risultati si nota chiaramente come la polarizzazione dell’elettorato sia ormai estremamente radicata. Il voto per il Senato ha seguito con impressionante regolarità quello per la Casa Bianca: per la prima volta da quando i senatori vengono eletti con il voto popolare, il vote-splitting tra Presidente e Senato è assente in ogni stato chiamato alla doppia consultazione elettorale. Anche il numero di contee passate di mano rispetto al 2012, è stato relativamente ridotto e concentrato in aree geografiche ben definite (vedi mappa qui sotto) .

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4) La polarizzazione dell’elettorato è ancora più evidente se si osservano le due mappe qui sotto, che sono rappresentazioni grafiche diverse dello stesso fenomeno. Nella prima (NYT) l’intensità delle frecce quantifica lo spostamento dell’elettorato verso destra (rosso) o verso sinistra (blu) in ogni singola contea. Nella seconda (CNBC) le contee sono colorate con intensità diversa a seconda che il vantaggio repubblicano o democratico sia aumentato o diminuito. In entrambi i casi si nota chiaramente come, in generale, le contee rosse stiano diventando sempre più rosse e quelle blu sempre più blu.


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4) La “coalizione obamiana” (neri, latinos, millennials, unions, lgbt, coastal élites), che ha permesso all’ex Presidente di conquistare la Casa Bianca nel 2008, si è letteralmente disintegrata durante gli otto anni dell’amministrazione Obama. Dopo la sconfitta di McCain, il Partito democratico controllava la Casa Bianca, entrambi i rami del Congresso (con una quasi-supermaggioranza al Senato), 29 governatori (contro 22), 27 state legislatures (contro 14). Oggi il Partito democratico ha perso la Casa Bianca (2016), la Camera (2010), il Senato (2014) e controlla 15 governatori (contro 34) e 13 state legislatures (contro 33). Un tracollo senza precedenti nella storia elettorale statunitense del dopoguerra.

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5) Trump ha battuto nettamente la Clinton tra gli elettori bianchi (+21%), ma superando solo marginalmente i precedenti record di Reagan (1984) e Romney (2012), che si erano fermati al +20%. Ma se nel 1984 i bianchi rappresentavano l’84% dell’elettorato, questa percentuale – già scesa al 72% nel 2012 – si è fermata al 70% nel 2016. Secondo gli exit poll (i cui dati, naturalmente, devono essere analizzati con estrema cautela), la performance di Trump rispetto a Romney è stata migliore sia tra gli afro-americani (8% contro il 6% di Romney) che tra gli ispanici (29% contro 27%).

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6) In Wisconsin, uno degli stati che – tra lo stupore generale – ha regalato la Casa Bianca al GOP, Trump aveva (più o meno) contro il governatore repubblicano (Scott Walker), il leader della maggioranza alla Camera ed ex candidato alla vicepresidenza (Paul Ryan), il capo del Republican National Committee ed ex presidente del partito nello stato (Reince Priebus) e la stragrande maggioranza delle talk radio conservatrici. Trump ha conquistato 1.409.467 voti. Romney, nel 2012, ne aveva conquistati 1.408.746 con l’appoggio incondizionato di tutto il partito. Praticamente la stessa cifra. Parties do not matter, people do.

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7) La tanto attesa esplosione del voto ispanico in funzione anti-Trump alla fine non si è materializzata del tutto. I cosiddetti “latinos”, che nel 2012 avevano rappresentato il 10% dell’elettorato, nel 2016 sono cresciuti solo marginalmente, arrivando a toccare l’11%. E se, come detto, Trump ha migliorato del 2% la performance in questo segmento demografico rispetto a Romney, è ancora più significativo il calo democratico dal 71% di Obama nel 2012 al 65% della Clinton. Stessa cosa per l’elettorato femminile, che malgrado l’isteria mediatica è calato dal 53% del 2012 al 52% del 2016. E la quota di voti femminili conquistati da Trump (-12% rispetto alla Clinton) è molto simile a quella conquistata da Romney (-11% rispetto a Obama). Ma, soprattutto, le donne nel loro complesso non hanno votato come un blocco unico. Anzi.

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8) Sempre secondo gli exit poll, 4 elettori su 10 hanno dichiarato che tra le qualità dei candidati che avevano maggiormente influenzato il loro voto c’era la “capacità di produrre un cambiamento”. Tra questi elettori, l’83% ha scelto Trump e il 14% ha scelto la Clinton.

9) I democratici hanno speso tutto il ciclo elettorale nel disperato tentativo di minimizzare l’impatto dell’Emailgate. Lamentandosi (!) di come la stampa insistesse sull’argomento quando in gioco c’erano i destini della nazione (“Grab the pussy!”). Eppure quasi due terzi degli americani (il 63%) ha dichiarato che “l’utilizzo privato” del server di posta elettronica da parte dell’ex segretario di stato era un fatto che li preoccupava. In questo gruppo di elettori, Trump ha raccolto il 70% dei voti contro il 24% di Hillary.

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10) Trump ha perso tutti e tre i dibattiti.

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