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Remembering Ronnie
Ronald Reagan è uno stato della mente prima che una persona.
Permettetemi questa piccola divagazione, perchè scrivere di Reagan non è facile e non è semplice.Ma, a guardar bene, questo mio incipit, in pochissimi hanno saputo incarnare, come il presidente Reagan, lo spirito del tempo, del suo tempo.L’edonismo reaganiano, famoso tormentone di Roberto D’Agostino, è stata la cifra popolare della dottrina economica e della filosofia del presidente americano.Sting lo citò apertamente, nella sua struggente canzone “Russians”, manifesto di un pop-pacifismo, embrione di quel radical chic italico, ben fotografato da “Questa insostenibile leggerezza dell’essere” di Antonello Venditti, un’altra canzone dell’epoca reaganiana.
E come non ricordare, durante il primo episodio della saga di Ritorno al futuro, quando un giovane Michael J. Fox, nei panni di Marty Mc Fly, risponde alla domanda del professore che nel 1985 il presidente degli Stati Uniti è Ronald Reagan. Doc, il professore interpretato da Cristopher Lloyd, stupito disse: ” Ronald Reagan? L’attore? Eh! E il vicepresidente chi è? Jerry Lewis? Suppongo che Marilyn Monroe sia la First Lady […] e John Wayne il Ministro della Guerra!”
Ronald Reagan, forse, è stato proprio questo l’icona pop dell’America, così come si è stratificata nell’immaginario collettivo, sottesa però da robuste fondamenta ideologiche che si alimentavano dal filone conservatore e liberale.
Era stato un attore e questo lo rendeva capace di comunicare ed entrare in empatia con il popolo, ma questa sua popolarità era sorretta da una solida struttura ideologica, oggi diremmo liberal-conservatrice, e da una forte visione della missione storica che l’America era stata chiamata a svolgere.
Fu una fortuna per l’America che gli americani lo avessero scelto come presidente degli USA.
Fu una fortuna che lo Spirito Santo scelse Karol Wojtyla come Papa Giovanni Paolo II.Fu una fortuna che Margareth Tatcher fu scelta dal popolo britannico come Primo Ministro inglese.
Una serie di fortunate coincidenze, forse irripetibili, ma sono convinto che fossero quelli gli uomini e le donne migliori per traghettare verso un nuovo ordine questa nostra Terra.
Ma non vorrei, in questo post, addentrarmi in oscure e contorte analisi politologiche e sociali. Quello che mi piacerebbe fare è descrivere cosa è stato per me Ronald Reagan e quali sono i ricordi che mi legano a lui.
Il primissimo ricordo che ho di lui fu l’attentato perpretatogli da John Hinckley Jr. nel marzo del 1981.
Non fu il gesto o la crudezza di quelle immagini, mi colpirono le parole che disse il presidente Reagan ai medici che lo stavano soccorrendo: “Spero che siate tutti repubblicani”. Oggi non posso non notare la fatale coincidenza di quelle date, visto che, pochi mesi dopo, un’altra figura chiave dello scorso secolo, il pontefice, Giovanni Paolo II fu vittima di un tentativo di assassinio e tutti e due riuscirono a riprendersi.
Quella battuta di spirito, detta in quella occasione, forse, furono la molla che mi fece scattare l’interesse per il presidente americano.
E fu, leggendo la traduzione del suo discorso di insediamento, che mi imbattei in quella frase memorabile: “Nella crisi presente, il governo non è la soluzione al nostro problema; il governo è il problema.”.
In poche parole trovai una di quelle verità che, forse, furono il catalizzatore del mio essere liberale.
Un’altra frase di Ronnie, come veniva amichevolmente chiamato il presidente, che mi è rimasta dentro fu quel famoso “Tear down this wall” rivolto a Gorbachev di fronte alla porta di Brandeburgo in quella Berlino, all’epoca divisa dal muro.
Era il 12 giugno 1987, e nessuno poteva prevedere che quel muro sarebbe stato abbattuto nel novembre del 1989.
E quella sera di Novembre, di fronte alla televisione, che trasmetteva le immagini di quella folla gioiosa di tedeschi, non importa se dell’Est o dell’Ovest, che si abbracciava, piangeva e ballava sotto l’arco della porta di Brandeburgo, non ho potuto non ricordare quelle parole profetiche.
Ronnie non era più presidente, ma quella è stata la sua vittoria più fulgida.
Poi purtroppo arrivò un nemico che neanche Ronnie, il profeta della “città sulla collina”, per usare una metafora del puritano John Winthrop, ha potuto sconfiggere, una malattia chiamata Alzheimer.
Nel giugno del 2004, quasi diciassette anni dopo quel discorso a Berlino, Ronald Reagan morì, con accanto la sua amata Nancy.
Provai grande tristezza alla notizia, ma, al contempo, apprezzai il garbo e la riservatezza con cui sia lui che la sua famiglia seppero affrontare questa dura prova.
Oggi a 100 anni dalla sua nascita, devo ancora ammettere che né l’America, né il mondo occidentale hanno raggiunto quella città sulla collina che ci aveva indicato Reagan.
Forse è proprio questa la vera eredità che Ronnie ci ha lasciato.
Un sogno, un grande sogno di libertà.
Che possa riposare in pace.