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Ronald è l’America
Scriveva Whitman in Prospettive democratiche: “La democrazia politica, nel modo in cui esiste in America e con tutti i suoi mali minacciosi però fornisce un tirocinio per creare uomini di prima classe. E’ una palestra di vita, non solo nel bene, ma di tutto. La vita negli Stati Uniti è così impegnativa e così piena di opportunità che gli americani migliori diventano atleti di libertà. Conseguono le esperienze del combattimento, l’indurimento della lunga campagna, e arrivano a fremere per l’attuazione delle loro aspettative. L’America lotta per essere una nazione potente così da poter rendere possibile il pieno fiorire degli individui “
Whitman, senza alcun dubbio, aveva capito ciò che molti analisti della politica e della vita americana ancora oggi non hanno capito: qualunque fossero i problemi della nazione “America”, era proprio nell’idealismo insito presente in quel nome la vera soluzione alla superficialità borghese, al materialismo più sfrenato, all’isolamento, al perbenismo e alla soggezione. Una nazione con un sistema di obblighi (né pochi e né molti) che avevano spinto le persone ad uscire dalle loro preoccupazioni limitate e banali per alzare lo sguardo verso il futuro e la speranza. Un fuoco utopico che ha “redento” il popolo nelle mille, ed anche imbarazzanti e palesi, contraddizioni.
La forza, la grandezza e la ricchezza (anche con la crisi) americane non sono però frutto di un caso o diretta conseguenza di un disegno divino. Mai come in questo caso il vecchio proverbio “aiutati che Dio ti aiuta” è mai stato così valido perché l’essenza americana è l’opera collettiva di milioni di persone tenute insieme non da radici, religioni o cultura (troppo pochi secoli di vita), ma bensì da una esperienza storica fondata su un sistema di governo funzionale ed efficace, una economia dinamica – anche oggi nonostante i problemi ben visibili – ed un modo di vivere che gli americani chiamano American way of life, una filosofia che ha animato questa nazione e che ha dato vita a questo straordinario esperimento. Ed è proprio grazie a questo carattere “sperimentale”, quanto eccezionale di questo nuovo Stato, che si può capire come un attore di Hollywood, Ronald Reagan, sia poi riuscito a diventare uno dei presidenti più amati, ed influenti a livello globale, di questo straordinario paese.
Nel 1980, sull’onda di una crisi economica molto forte, Reagan sconfisse il presidente in carica Jimmy Carter. Sulla spinta del suo successo, in quella stessa tornata elettorale, il Partito Repubblicano conquistò il controllo del Senato per la prima volta dopo 26 anni e riuscì a ridurre la maggioranza democratica alla Camera dei Rappresentanti. Da allora quel tipo di politica economica e quella estera formarono la base del movimento conservatore americano.
Reagan incarnava la difesa dell’interesse nazionale in politica estera e la fede nella libertà economica. Fu l’uomo del taglio dell’imposta sul reddito, della riduzione dei tassi d’interesse e della vittoria della “guerra fredda” contro l’ex Unione Sovietica.
Grande comunicatore parlava dell’America e dei valori che l’avevano resa grande, quell’incredibile esperimento tutto riassunto in quella carta costituzionale definita working expedient e poggiante sui tre ordinamenti: il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario.
Così il federalismo, il presidenzialismo, i diritti individuali e la democrazia politica hanno costituito il quadro politico e storico entro cui gli Stati Uniti si sono potuti felicemente caratterizzare e di cui Reagan ne fu felice esecutore.
I suoi avversari, che lo accusavano di semplicismo, non riuscirono a capire la fede incrollabile “dell’uomo” nei valori fondanti della democrazia e “dell’ideale americano”. L’ottimismo, la fiducia nel futuro e la consapevolezza di riuscire a cambiare il destino erano alla base del suo messaggio, cioè che il sogno americano non era finito. Fu proprio grazie a questa fede incrollabile che Reagan riuscì a tradurre risultati eccezionali in politica estera grazie al programma SDI (“Strategic Defense Initiative”), iniziativa di difesa strategica che fece capitolare l’Unione Sovietica e con se il comunismo.
Nella “domestic policy” non fu da meno. Grazie ad uno stimulus di tagli sulle aliquote (le porto al 28% dopo la sconsiderevole politica fiscale di Carter), ridiede fiducia negli americani, favorì lo sviluppo sul lavoro ed aumentò considerevolmente il gettito gravando di pochissimo sul disavanzo pubblico (dal 2,7 al 2,9%). Fu proprio grazie a questa lungimiranza che l’America si rimise in moto dando il via ad una escalation economica senza precedenti: in sette anni circa un terzo della sua intera ricchezza.
In definitiva gli anni di Reagan rappresentarono quanto di più concreto possa fare una economia basata sul libero mercato, un modello di politica economica liberista, modelli che l’America e l’Europa di oggi sembrano aver drasticamente dimenticato. Ma è proprio su quella esperienza di successo, e sulla incrollabile fede nell’esperimento, su cui noi tutti dovremo soffermarci cercando di carpirne lo spirito e la concretezza. Mai come oggi, l’attuale amministrazione statunitense e l’Europa tutta, ne avrebbe bisogno.L’America certo non è il paradiso in terra e gli Stati Uniti rimangono, ancora oggi, un paese con forti contraddizioni. Al tempo stesso però gli USA sono una grande ed affascinante realtà da cui imparare ed è proprio in questo “chiaroscuro caravaggesco” che si racchiude la grande forza “sperimentale” di questa nazione, ove Ronald Reagan ha saputo essere grande e concreto traduttore per l’occidente.