L’ipocrisia del “giornalismo-verità”
La storia è molto americana, ma potrebbe essere molto italiana. Riguarda il malato rapporto tra etica, politica e informazione. Sembra presa di sana pianta da “Le idi di marzo” lo splendido film di George Clooney sull’immoralità della politica e del giornalismo. La storia è questa: Mitch McConnell è un senatore repubblicano del Kentucky. Qualche giorno fa, si è trovato al centro di una feroce polemica politica quando, una riunione riservata con il suo staff in preparazione della campagna elettorale del 2014, è stata registrata illegalmente e pubblicata su Mother Jones, un magazine scandalistico di sinistra, una sorta di Fatto Quotidiano in salsa yankee.
In queste registrazioni McConnell istruisce i suoi collaboratori su come deve essere impostata la campagna elettorale e cioè massacrare qualsiasi potenziale sfidante: “Presumo che la maggior parte di voi abbia giocato a Whac-a-Mole” (il gioco in cui con un martello bisogna colpire dei pupazzi che escono da un buco). “Questo è il periodo Whac-a-Mole della campagna… quando qualcuno mette fuori la testa, va schiacciato”. L’argomento della riunione si sposta poi su uno dei possibili rivali di McConnell, l’attrice americana Ashley Judd, da sempre sostenitrice dei democratici e in prima fila per la campagna di Obama.
E qui la discussione diventa imbarazzante. I collaboratori del senatore non si limitano ad individuare i punti critici delle idee politiche della Judd (i matrimoni gay, l’aborto, l’Obamacare) o le sue gaffe (vecchie interviste dove esprimeva giudizi pesanti sul Kentucky e i suoi abitanti); ma iniziano ad individuare nella sua vita privata gli strumenti attraverso i quali colpirla politicamente: dalla sua malattia (le crisi depressive di cui ha sofferto), alle sue convinzioni religiose un po’ bizzarre. Ovviamente la questione non finisce qui.
Allo scandalo mediatico segue l’indagine dell’FBI per scoprire chi è stato l’autore della registrazione illegale visto che per la legge del Kentuky è reato “origliare, registrare, amplificare o trasmettere qualsiasi parte di una comunicazione orale di altri senza il loro consenso” e i sospetti ricadono su due attivisti di un’associazione di sinistra che si sarebbero intrufolati nel comitato repubblicano e, nascosti dietro una porta, avrebbero registrato la riunione. Ora, l’idea di combattere un avversario politico colpendo la vita personale, le sue abitudini, le sue fragilità o anche solo le sue convinzioni morali e religiose, rende la politica un gioco cinico, espressione di un potere spietato; ma tutto ciò è il frutto della spettacolarizzazione della politica imposta dai media. Perché se malata è la politica, è malato ancor di più il giornalismo.
David Corn, il giornalista che ha pubblicato lo scoop, ha avuto il suo secondo grande successo in pochi mesi. Il primo è stata la famosa registrazione video di Romney durante la campagna presidenziale, quando, in una cena riservata per una raccolta fondi, il candidato repubblicano espresse giudizi sprezzanti nei confronti di quel “47 per cento di americani che voteranno Obama perché dipendono dal governo”. Per aver pubblicato questa spiata, Corn ha ricevuto, pochi giorni fa, il prestigioso Premio Polk e il Washington Post gli ha dedicato un profilo entusiasta arrivando a scomodare Woodward e Bernstein, i giornalisti autori dello scandalo Watergate. Ma la questione è un’altra: è etica la pubblicazione di una registrazione illegale di un incontro privato? A sentire David Corn, ovviamente si: “cosa c’è di meraviglioso in questa storia? Che non avete più la necessità ascoltare me o qualsiasi altro commentatore per sapere le cose. Tutto qui.
È giornalismo verità”. Certo come no. Sembra di sentire i profeti dell’informazione democratica che belano in Italia. Ma rimane il solito problema che rende la “libera informazione” vomitevole al pari di certa politica: se la registrazione illegale avesse riguardato un personaggio di sinistra, questo famoso “giornalismo verità” l’avrebbe pubblicata ugualmente?