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Preferisco
Le preferenze sono un tema su cui si concentra la battaglia elettorale per le prossime europee fin da adesso. Berlusconi l’ha appena dichiarato a “Porta a porta”: lui vuole lo sbarramento al 5% e niente preferenze, perché «con le preferenze si corre il rischio di tornare al finanziamento occulto». Dalla parte opposta, Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, risponde con un avvertimento: «L’Udc si presenterà alle elezioni europee con un simbolo che porterà la scritta “Sì alle preferenze”, perché l’Udc vuol trasformare le elezioni a favore della gente». Alla Camera, nei lavori per la riforma della legge elettorale, il relatore Giuseppe Calderisi (del Pdl) ha già annunciato la sua idea centrale: «Le preferenze indeboliscono i partiti». Lo scontro è aperto. Non c’è dubbio che le preferenze indeboliscono i partiti, il vantaggio è che rafforzano la democrazia. Si va a votare quando un Parlamento non funziona più e bisogna sostituirlo oppure ha finito il ciclo della sua legislatura. Gli elettori devono poter dimostrare col voto se sono contenti dei parlamentari uscenti, e in tal caso li confermano, o se sono scontenti, e in tal caso li sostituiscono. Il potere di scelta degli elettori deve poter esercitarsi sia sui partiti che sugli uomini. Un elettore può esser contento di un partito, ma non dei deputati o dei senatori di quel partito. In questo caso, con le preferenze, ne vota degli altri. È in questo modo che il Parlamento può dirsi scelto dagli elettori e che la democrazia è completa. Con l’abolizione delle preferenze si dimezza la democrazia perché si realizza una conseguenza paradossale: è il Parlamento uscente, non il popolo, che sceglie il Parlamento entrante. Il Parlamento uscente, come ogni lettore di questo articolo sa, tramite i partiti e le loro segreterie, compila le liste dei candidati e nelle liste colloca ai primi posti coloro che vuole siano eletti: il Pd o il Pdl possono collocare al primo posto, in qualsiasi regione, un funzionario legato al segretario o al premier e il popolo di destra o di sinistra, semplicemente votando destra o sinistra, vota automaticamente quella scelta. Il governo che decade perché non ha più la fiducia del Parlamento, in genere non ce l’ha neanche del paese. Ma il paese non ha la possibilità di manifestare questa sfiducia negli onorevoli: non ha più il potere di eleggere, ha solo il potere di ratificare la nomina fatta da altri. Non è un caso che l’abolizione delle preferenze, da noi, sia stata introdotta da un Parlamento che decadeva e sapeva che nella consultazione seguente non avrebbe più avuto la maggioranza. Abolendo le preferenze, impedì che il malcontento popolare tagliasse via i parlamentari più sgraditi. Ma l’opposizione non s’è opposta a questa riforma, perché anche l’opposizione vede, nelle liste bloccate, un tornaconto: tutti i partiti, di destra e di sinistra, trovano qui l’occasione per rafforzare il proprio potere. È questo il fattore principale che ha creato la “casta”: impedendo al popolo di scegliere i politici, i politici, autoscegliendosi, si sono chiusi in casta. A rigore, non c’è più la condizione per cui i parlamentari possano dirsi eletti dal basso, adesso sono calati dall’alto. Quand’erano eletti dal popolo, per mezzo secolo han goduto dell’immunità: la legge non osi toccare chi è stato scelto dal popolo, perché è come se toccasse il popolo. Il popolo è la fonte del potere. Abolendo le preferenze, la fonte del potere passa nei partiti. I parlamentari, deputati e senatori, sono un’emanazione delle segreterie dei partiti e perché la legge non dovrebbe toccare i segretari dei partiti, che esprimono interessi non del popolo, ma di gruppi? L’abolizione delle preferenze decurta la democrazia e pone un problema costituzionale. di Ferdinando Camon, Messaggero Veneto. Ecco, sinceramente, non avrei saputo dirlo meglio. Aldilà di ogni bizantinismo e di ogni arrampicata sugli specchi dei professionisti delle segreterie temporanee con il consenso altrui.