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Mandi, Eluana
Foto via Francesco Sciotto Qui in Friuli quando vuoi salutare qualcuno che se ne va, non gli dici “addio”, gli dici “mandi”. Da cosa derivi, questo “mandi”, è ancora oggetto di disputa: c’è chi dice significhi “ti lascio nelle mani di Dio”, c’è chi dice derivi da “mane diu” (rimani a lungo, quasi a scongiurare l’addio). Non importa cosa significhi veramente, ieri abbiamo detto per l’ultima volta “mandi” a Eluana Englaro. Molti lo hanno fatto rumorosamente davanti alla Casa di Riposo “La Quiete”, altri silenziosamente in casa, altri ancora una candela in Chiesa l’hanno messa; quasi ad esorcizzare le tenebre. Quello che è successo assume ora i contorni sfuocati di una vicenda troppo personale per essere raccontata con gli stereotipi tipici di tutte le altre fredde cronache da giornale. Troppo personale per papà Beppino, per mamma Sati, troppo personale per tutti noi che vediamo confondersi, mischiarsi, nascondersi le categorie politiche con cui siamo abituati a giudicare tutto e tutti. Non c’è molto di cui parlare effettivamente, in questo gigantesco e mediatico day after in cui la nostra città è diventata improvvisamente famosa nel Mondo. Eppure siamo o dovremmo essere famosi per tante altre cose: per la ricostruzione post-terremoto, per il grande senso di umanità, per l’equilibrio e la straordinaria civiltà che ci ha contrassegnato in momenti difficili, per il forte attaccamento alla vita dimostrato più volte nella storia della nostra Piccola Patria. Invece ci siamo guadagnati le prime pagine dei giornali per aver dato la morte, una dolce morte a sentir qualcuno, ad una ragazza che non siamo sicuri la volesse veramente e seguendo un protocollo di disidratazione che il solo pronunciare ci fa venire la pelle d’oca. “Non negheremo pane ed acqua” aveva detto l’assessore alla Sanità della nostra Regione, Vladimir Kosic. Ed è sembrato da subito un urlo nel deserto arido di una società che corre troppo. Troppo anche per poter soltanto pensare di fermarsi a riflettere sul senso ultimo della Vita e della Morte di una persona che vive (perchè viveva) distesa su un letto, accudita dall’amore puro di un gruppo di suore troppo matte per essere vere e sul cui corpo si è giocata un’assurda partita a chi le voleva più bene. Una partita senza nè vinti nè vincitori, ma in cui la vera protagonista è diventata da subito comprimaria, schiacciata da una Politica malata di ponziopilatismo e da un sistema mediatico che sentiva, una volta ancora, di dover riaffermare sè stesso prima delle storie che dovrebbe raccontare. Se ne è andata Eluana, forse in un modo in cui non avrebbe mai immaginato. Strumentalizzata. Senza cibo nè acqua. Se ne è andata, e non ci resta che salutarla, sperando che le mani di Dio l’accolgano con tutto l’amore che il suo Friuli non ha saputo darle. Mandi, Eluana.