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L’infrastruttura più necessaria

L’ha detto e fatto capire più volte il presidente della Regione, Renzo Tondo; l’ha confermato a chiare lettere l’assessore alla Cultura, Roberto Molinaro, a un recente incontro sull’attuazione della legge di tutela: la valorizzazione della lingua friulana non è tra le priorità dell’attuale Giunta del Friuli-Venezia Giulia. Soprattutto in tempi di ristrettezze economiche. Per cui, nella finanziaria per il 2010, le già scarse risorse per la «marilenghe» subiranno una sforbiciata del venti per cento. E dallo Stato non arriverà certamente una mano, considerato che lo stanziamento per la legge quadro sulle minoranze linguistiche storicamente insediate in Italia è stato praticamente annullato. Ne consegue che le norme per il friulano previste dalle leggi statale 482 del 1999- che bel modo di celebrare il decimo anniversario! – e regionale 29 del 2007 resteranno in gran parte lettera morta. Il pretesto per i tagli è la crisi. E tutti sembrano pacificamente accettare il principio. Senza tenere conto che la Regione nel 2009 ha destinato al friulano circa 4 milioni di euro. Tanto o poco? A qualcuno – politico, uomo di cultura, giornalista – è sembrato tanto e non ha mancato di sottolinearlo in ogni occasione. Salvo poi non avere niente da dire sui 12 milioni di euro impegnati per la promozione del Friulano, inteso come nuovo nome del vino Tocai, o gli altrettanti spesi per disseminare di telecamere un territorio che, grazie al cielo, ha uno dei tassi di criminalità più bassi a livello italiano. È davvero necessario il taglio ai capitoli sulla «marilenghe» per salvare il bilancio regionale 2010? Il risparmio di 654 mila euro non sembra proprio indispensabile, se si è trovato un milione di euro per allestire un mega acquario a Trieste, quello sì un progetto rinviabile ad anni migliori. Alle persone di buon senso già la cifra prevista per l’anno in corso, e che per il prossimo si prospetta alla stregua di un’irraggiungibile chimera, appare non solo insufficiente, ma del tutto inadeguata per applicare una legge che al primo articolo recita: «La Regione tutela, valorizza e promuove l’uso della lingua friulana, nelle sue diverse espressioni, lingua propria del Friuli e parte del patrimonio storico, culturale e umano della comunità regionale». Ma i 4 milioni rappresentano una cifra addirittura ridicola per una Regione – il cui bilancio è di 4,3 miliardi di euro – che fonda le ragioni della propria autonomia speciale sulla ricchezza linguistica. Chi lo nega può andare a rileggere gli atti della Costituente e dell’iter di approvazione dello statuto. Per il Friuli-Venezia Giulia non c’è altra ragione di autonomia oltre la convivenza delle quattro comunità linguistiche. Di più. Essere il punto d’incontro delle tre grandi culture europee – latina, slava e germanica – ne fa una terra unica. È miope, allora, non considerare prioritaria la politica linguistica. Il friulano, infatti, necessita di un processo di «normalizzazione», cioè di uso normale nella vita quotidiana ad ogni livello, affinché un intero popolo possa uscire dall’analfabetismo nella propria lingua cui è stato a lungo condannato da forti pressioni di assimilazione e omologazione. Soprattutto in un’epoca di globalizzazione e perdita di valori, bisogna evitare, particolarmente per le giovani generazioni, i rischi della dispersione e della cancellazione di una ricca e preziosa identità. Essa va preservata perché un popolo possa presentarsi con il suo volto sulla scena italiana, europea e mondiale. E – non dimentichiamolo – la lingua è l’espressione dell’anima di una comunità. Non può essere considerata un mero strumento di comunicazione. Sbaglia chi legge questo in termini di chiusura. L’accettazione positiva del patrimonio culturale ricevuto dalle passate generazioni, infatti, elimina complessi di inferiorità e timori di confronto. Il recupero delle proprie radici etnico-linguistiche è, dunque, un percorso di apertura, che porta al dialogo e allo scambio. In questa prospettiva, i soldi per il friulano non sono una spesa, ma un necessario investimento per il futuro. Perché la coscienza della propria identità è «l’infrastruttura» più necessaria a questa terra. Ezio Gosgnach, La Vita Cattolica

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