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Game Over?
Se finisse così, quella di Rick Perry sarebbe stata una delle cavalcate più intense – e brevi – nella storia delle primarie statunitensi. E’ sicuramente ancora troppo presto per considerare conclusa la sua corsa, ma con quello pubblicato oggi da ABC e Washington Post, siamo arrivati al terzo sondaggio consecutivo che registra il contro-sorpasso di Mitt Romney ai danni del governatore texano. Per ABC e WaPo, Perry è passato da +6% a -8%, per Quinnipiac da +6% a -5%, per Fox News da +8% a -4%.
Nella media di Real Clear Politics, Perry è sceso dal 31,8% del 19 settembre al 21,2% di oggi. Un crollo di 10 punti percentuali, del quale si è avvantaggiato Romney (salito, nello stesso periodo, dal 19,8% al 23%), ma in misura molto inferiore a quanto ci si sarebbe potuto aspettare. A schizzare verso l’alto, contro ogni pronostico, sono stati invece Herman Cain, cresciuto dal 4,2% al 13% (è addirittura al 17% nei sondaggi più recenti, praticamente alla pari con Perry) e Newt Gingrich, passato dal 5,3% al 9,4%.
La crescita di Cain e Gingrich, che nella media RCP hanno superato di slancio Ron Paul (6,8%) e distanziato nettamente Michele Bachmann (5,0%), dimostra almeno due cose. La dinamica della corsa è ancora estremamente dinamica. E la candidatura di Romney resta strutturalmente debole.
Malgrado le ultime ottime performance, Herman Cain dovrà faticare ancora molto per convincerci che la sua è una candidatura top-tier. Non dimentichiamoci che l’ex ceo di Godfather’s Pizza era già stato il flavor of the month a giugno, quando era arrivato al 10,2% nella media RCP (per poi scivolare fino al 3,6% nel giro di qualche settimana). Simpatico lo è sicuramente. E sembra anche in buona fede. Ma che abbia la stoffa per essere il “black knight” anti-Obama deve ancora dimostrarlo.
Newt Gingrich, e il nostro early endorsement lo conferma, resta un intellettuale sopraffino ed è uno dei pochi uomini politici americani a possedere una vision capace di accompagnare gli States verso il difficile futuro che li aspetta. Ma i suoi unfavorables restano molto alti (anche tra i repubblicani) e il mito dell’eleggibilità è destinato ad appesantirlo, e molto, nella corsa.
Le primarie repubblicane, insomma, vista anche la (definitiva?) rinuncia di Chris Christie, potrebbero sostanzialmente restare una corsa a due, con Perry favorito rispetto a Romney. I dibattiti televisivi – seguiti più dai political junkies che dalla gente normale – non sono da soli in grado di incrinare questa natura “bipolare” della sfida. Da quando Perry ha ufficializzato la sua candidatura, di scontri in tv ce ne sono stati tre: il primo organizzato da NBC News e The Politico, il secondo da CNN e Tea Party Express, il terzo da FOX News e Google. In tutti e tre i casi, il governatore del Texas è stato attaccato senza sosta dai rivali, che hanno accettato immediatamente il suo status di front-runner.
Perry non ha brillato affatto (soprattutto rispetto a un Romney che sembra molto più preparato di quattro anni fa), ma dall’alto dei suoi numeri non ne aveva particolarmente bisogno. A lui bastava non fare gaffe clamorose e aspettare che la stagione dei confronti televisivi si esaurisse.
A tutto, però, c’è un limite. Dopo il dibattito Orlando del 22 settembre, perfino i sostenitori più accesi di Perry hanno giudicato negativamente la sua prova. E i sondaggi degli ultimi giorni sembrano una conseguenza diretta di questa performance particolarmente spenta. Attenti, però, ad annunciare la prematura dipartita (politica) di un governatore che, in tutta la sua carriera, non ha mai perso un’elezione.
Malgrado i giudizi al vetriolo e il calo nei sondaggi, il Team Perry non ha finora spostato la barra del timone neppure di un millimetro. Questo è certamente il modo corretto di governare una nave in tempesta, ma anche la strada più semplice per andare a sbattere contro un iceberg. Soltanto il tempo potrà dirci se, anche lontano dalle placide acque del Lone Star State, Rick Perry è ancora un timoniere capace di indovinare sempre la rotta.