Storia dei videogiochi /2 – 1971-1979
Seconda puntata della nostra breve “storia dei videogiochi”. Spazio, questa volta, ai seminali anni Settanta, monopolizzati dall’immortale “Pong” e dai suoi mille cloni, i primi videogame che superano gli angusti confini delle università per dilagare nel mercato mainstream. Ma tutto, in realtà, era iniziato già qualche anno prima…
PONG, L’IMMORTALE (1971-74)
Nel 1966, Ralph Baer, ingegnere capo della Sanders Associates (un’azienda che produce dispositivi elettronici di vario genere per l’esercito Usa), inizia a lavorare su quello che lui stesso definisce «un progetto per un utilizzo alternativo degli apparecchi televisivi». Contro il parere dei suoi superiori, convinti che sia soltanto di una perdita di tempo, Baer mette in piedi una piccola ma agguerrita squadra di tecnici. Prende così forma il primo prototipo di videogioco destinato al mercato domestico. Ma il progetto è così rivoluzionario che stenta a decollare. Soltanto nel 1971, infatti, la Magnavox decide di commercializzare, con il nome di Odyssey un gioco di hockey creato da Bauer. Si tratta, per la verità, di un hockey piuttosto atipico, visto che sullo schermo nero del televisore compaiono soltanto due barrette luminescenti che si contendono, fino all’ultimo rimbalzo, la “pallina” più quadrata della storia dei videogames. Intanto un giovanotto di nome Nolan Bushnell, appena laureatosi in ingegneria alla University of Utah, sta percorrendo, forse in modo non del tutto inconsapevole, la stessa strada. Ma il suo obiettivo non sono le case degli americani. Folgorato da Spacewar! all’università, Bushnell trascorre il suo tempo libero nella cameretta della sorella, per l’occasione trasformata in officina, tentando di costruire una versione da sala-giochi del capolavoro di Steve Russell. Dopo molti sforzi, riesce a vendere una versione semplificata del gioco alla Nutting Associates. Nasce così Computer Space, il primo videogame commerciale della storia. Un fugace apparizione in sala-giochi, nel 1971, permette a Bushnell di racimolare i soldi necessari per dare vita a Pong, l’immortale. Il concetto alla base del gioco è lo stesso dell’hockey di Bauer: due racchette virtuali che tentano di respingere una quasi-palla che rimbalza sullo schermo; chi manca la palla regala un punto all’avversario; chi arriva per primo a 15 punti ha vinto. L’unica, vera differenza è la possibilità di dare un certo “effetto” alla pallina colpendola all’ultimo istante. Più semplice di Spacewar! e più innovativo del più moderno dei flipper, Pong è uno straordinario successo per tutto il 1972 e per buona parte del 1973. «Dopo aver installato la prima macchina – racconterà Bushnell vent’anni dopo – sono andato di corsa a casa perché ero troppo emozionato per sopportare un insuccesso. Un paio d’ore più tardi, il gestore della sala giochi mi telefona disperato. Si è rotto, dice. E io mi precipito a vedere cos’è successo. In effetti non funzionava più. Ma soltanto perché le monetine da 25 centesimi non entravano più nella macchina. Il mio Pong era così pieno di soldi che rischiava di scoppiare!».
L’IMPERO ATARI (1975-79)
Lo straordinario successo di Pong nelle sale-giochi e quello, anche se più contenuto, di Odyssey nelle case di tutti gli States (oltre 100mila unità diffuse) provocano una vera corsa alla clonazione. A metà degli anni Settanta sono in vendita più di cinquanta sistemi pong-style, con un prezzo che oscilla tra i 49 e gli 89 dollari, a seconda delle caratteristiche (colore, numero dei giochi, controlli a distanza, calcolo automatico del punteggio). Bushnell, intanto, fonda Atari e riesce ad ottenere un finanziamento di 10 milioni di dollari per espandersi. Il suo primo passo è quello di dare vita ad una versione “casalinga” di Pong, che in breve tempo surclassa Magnavox e tutta la concorrenza. Dopo il picco di vendite raggiunto nel Natale 1975, però, il pubblico inizia ad averne abbastanza di vedere la solita noiosa pallina rimbalzare sullo schermo, pur con tutte le varianti che le case produttrici riescono ad escogitare. E comincia a chiedere qualcosa di più. Nelle sale-giochi compaiono Tank, sempre di Atari, e Gunfight, creato dalla giapponese Taito e importato negli Stati Uniti dalla Midway (una rudimentale simulazione di Far West per la prima volta gestita da un microprocessore). Bisogna aspettare la fine del 1976, però, perché qualcosa inizi a muoversi anche sul fronte dell’utenza domestica. La novità è rappresentata dal primo videogioco programmabile della storia, il Channel F prodotto dalla Fairchild. Inserendo cartucce vendute separatamente dalla console, l’utente può cambiare gioco senza essere costretto a sorbirsi l’ennesimo Pong-clone. Il gioco più venduto per il Channel F è Death Race, sviluppato dalla Exidy Games, in cui uno spericolato automobilista guadagna punti investendo ignari pedoni. Il primo “scandalo” della storia videoludica. Sempre nel 1976, ma nelle sale-giochi, arriva Breakout dell’Atari. Si tratta di una versione sofisticata (e per un solo giocatore) di Pong, in cui lo scopo è abbattere, con la solita racchetta e la solita pallina, un muro composto da mattoni colorati. I programmatori di Breakout sono Steve Jobs e Steve Wozniak (più il secondo che il primo, anche se il primo riuscirà a ricavarne più denaro e più onori). I due, qualche anno più tardi, fonderanno la Apple costruendo i primi prototipi dei loro pc proprio con componenti elettronici “presi a prestito” durante la loro breve esperienza in Atari. Nel Natale del 1977, Bushnell – che da qualche mese ha ceduto la proprietà di Atari alla Warner Communications restando però alla guida dell’azienda – lancia il Video Computer System (conosciuto poi come VCS 2600), entrando nel mercato delle console “programmabili”. Il prezzo è di 249 dollari e le vendite inizialmente stentano. Le frizioni tra Bushnell e il presidente della Warner, Steve Ross, provocheranno presto l’abbandono del fondatore di Atari. Intanto i giochi arcade invadono le sale-giochi. Tra il ’78 e il ’79 Atari produce titoli come Fire Truck (prima modalità “cooperativa”) e Football (prima “trackball” e primo “scrolling” dello schermo). E con Space Invaders, della Taito, i videogame straripano fuori dalle sale-giochi e dai bar per approdare perfino nei ristoranti e nei cinema. Space Invaders, in cui bisogna difendere la Terra da un’invasione aliena sempre più frenetica, diventa ben presto uno straordinario successo, tanto che la sua versione per Atari VCS 2600 trasforma un flop annunciato in un trionfo di vendite che durerà quasi cinque anni. In Giappone la popolarità di Space Invaders provoca addirittura un’inattesa “carestia” di monetine. Altri capolavori del tempo sono Lunar Lander e Asteroids, in cui viene sperimentata per la prima volta la grafica “vettoriale”, prodotti dall’onnipresente Atari. Asteroids, con la solitaria lotta di una piccola astronave contro le immense forze dello spazio profondo, si rivela il best-seller arcade di tutti i tempi dell’azienda fondata da Bushnell: 80mila macchine diffuse soltanto negli Stati Uniti. Un record che Atari non riuscirà più a superare.