Sicurezza contro libertà
La drammatica testimonianza al Senato del generale Keith Alexander, direttore della National Security Agency americana, è una dimostrazione del difficile equilibrio fra la libertà e la sicurezza. L’opinione pubblica statunitense è ancora sotto shock per la scoperta di Prism, l’immenso sistema di spionaggio informatico messo in piedi, segretamente, dalla Nsa. Oltre 100 miliardi di dati personali vengono monitorati, ogni mese, in tutto il mondo.
Stando alle rivelazioni del pentito Edward Snowden, la Nsa è in grado di registrare nome, cognome, indirizzo, data di nascita, dati trasferiti, foto e conversazioni in chat, indirizzo IP (quello del computer) di chiunque mandi un’email che passi da uno dei grandi provider monitorati. È in grado di registrare nome, cognome, indirizzo, data di nascita, documenti e foto inviati, dettagli su tutti i contatti personali, conversazioni in chat, informazione sulla posizione geografica, di chiunque si iscriva a un social network. Infine, è in grado di risalire al luogo da cui una telefonata viene effettuata, la sua durata, il numero di chiamante e ricevente, probabilmente anche il testo degli sms inviati. In teoria la Nsa può sapere tutto di tutti, in qualsiasi Paese del mondo, in tempo reale.
Ovviamente non tutto interessa all’agenzia governativa statunitense. I Paesi più monitorati sono quelli da cui arrivano i pericoli maggiori per la sicurezza nazionale: a pari merito Iran e Pakistan. Ma anche gli stessi Stati Uniti (e la Germania) sono fra i luoghi più monitorati. E l’idea di essere sotto la lente di ingrandimento dell’intelligence, pur non avendo nulla a che vedere con il terrorismo, non piace a nessun americano, chiaramente. Tornano alla mente le grandi distopie della letteratura, sia il settecentesco “Panopticon” (del filosofo liberale Jeremy Bentham) che, ovviamente, anche la distopia novecentesca per eccellenza, “1984” di George Orwell.
Il generale Alexander, in Senato, ha spiegato il senso del suo Panopticon e ha cercato di difenderne l’utilità. Secondo la sua testimonianza, il sistema di sorveglianza informatica ha «permesso di sventare decine di attacchi terroristici» negli anni in cui ha funzionato segretamente. La soffiata di Edward Snowden e possibili ulteriori rivelazioni, secondo il generale, rischiano di compromettere seriamente il funzionamento dell’intelligence americana. E «molti americani moriranno, di conseguenza». Dunque, nonostante la promessa di una maggior trasparenza, il direttore della Nsa si riserva il diritto di mantenere il segreto su ogni ulteriore dettaglio dell’operazione.
Ha comunque negato di poter intercettare chiunque, compreso il presidente, stando seduto di fronte al proprio computer, come aveva detto Snowden ai suoi intervistatori. Le intercettazioni vere e proprie delle intercettazioni verrebbero limitate solo ed esclusivamente ad individui legati ad Al Qaeda e all’Iran. Quel che il generale sottintende, però, è che per trovare tali individui si deve ispezionare, a tappeto, qualunque conversazione. Anche due persone che scherzano sulla Jihad islamica sono potenzialmente intercettabili, in base a questi criteri. I dati vengono conservati per cinque anni e poi distrutti. Ma quel che Alexander non teme (o non vuole temere) è che nel corso di questi cinque anni i dati possano essere abusati o venduti per le peggiori intenzioni. Decine di attacchi sono stati sventati.
Ma miliardi di telefonate, email e conversazioni in chat, foto e documenti personali, sono potenzialmente intercettabili. È sempre più difficile porre le due cose sulla stessa bilancia. Se la libertà ha un senso, però, almeno negli Stati Uniti dovrebbero ricordare che sacrificando la propria libertà per aumentare la propria sicurezza si finisce per perdere l’una e l’altra. Chi può sentirsi al sicuro, nel momento in cui le sue informazioni personali sono a disposizione di tutti?