La battaglia per Gibilterra
A Gibilterra, Cartaginesi e Romani non costruirono colonie; a due delle potenze che dominarono il Mediterraneo, vero centro commerciale e politico dell’antichità, quella rocca a picco sul mare che separava l’Europa dall’ignoto non doveva apparire particolarmente attraente.
Al contrario, gli inglesi la occuparono dal 1713, anno in cui, con il trattato di Utrecht la Spagna la consegnò “per sempre, senza eccezioni o impedimenti di sorta» alla bellissima Anna Stuart la prima sovrana d’Inghilterra. Ancora oggi, Gibilterra è uno dei 14 “territori britannici d’oltremare”, ultimo retaggio di un Impero perduto, l’unica in Europa, se si eccettuano i possedimenti a Cipro che sono però, di fatto, basi militari. A Gibilterra ci sono sudditi inglesi, cabine telefoniche rosse e autobus a due piani. Tranne per la guida che è a destra come nel resto d’Europa, Gibilterra sembra un pezzo d’Inghilterra anni ’70 in terra andalusa; ha un suo proprio governo ma la sua difesa e i suoi affari esteri (che in pratica sono i rapporti con la Spagna) sono competenza britannica.
Oggi, alla periferia occidentale di un Mediterraneo in fiamme, si gioca una partita, apparentemente ridicola, fuori dal tempo, ma che rischia di incrinare i rapporti tra due dei maggiori paesi europei. Colpa di 70 blocchi di cemento che le autorità di Gibilterra hanno deciso di gettare in mare, formalmente per ripopolare la fauna ittica impedendo ai pescherecci spagnoli di pescare laddove pescano da centinaia di anni in quelle, che la Spagna continua a ritenere proprie acque territoriali. La reazione spagnola non si è fatta attendere: controlli a tappeto al confine che hanno comportato enormi disagi e ore di attesa per turisti e pendolari, nonché minacce di introdurre tasse di pedaggio e blocco dei voli diretti dalla Spagna. Nel frattempo, come nelle migliori tradizioni del risiko diplomatico, una nave da guerra inglese è arrivata a Gibilterra, giusto per ricordare chi comanda da quelle parti.
Londra definisce sproporzionate le reazioni di Madrid e Madrid definisce inaccettabili le prevaricazioni di Londra. Nei giorni scorsi, Cameron ha tenuto al telefono Rajoy, il primo ministro spagnolo, per 15 minuti, per ribadire che la sovranità su Gibilterra non è in discussione e che l’atteggiamento spagnolo rischia di incrinare i rapporti anglo-iberici. Per tutta risposta, subacquei della polizia spagnola si sono fatti riprendere in un video mentre attaccavano la bandiera nazionale ad uno dei blocchi di cemento; una provocazione stupida, per il Telegraph, che spiega come l’obiettivo di Madrid non sia la difesa dei pescatori ma la sovranità di Gibilterra. il tutto pochi giorni dopo che il Ministro degli Esteri spagnolo, Manuel Garcìa-Margallo ha scritto un lungo articolo niente di meno che sul Wall Street Journal per spiegare alla comunità internazionale le ragioni spagnole: a partire dal fatto che “la colata di blocchi di cemento costituisce una violazione delle norme più elementari della conservazione ambientale (…) in acque che rappresentano il 25%” dell’attività ittica locale”.
In realtà la questione è più complessa di una disputa sulla pesca; riguarda rivendicazioni di sovranità mai abbandonate, orgoglio nazionale e concreti problemi legati ad un enclave autonomo in pieno territorio spagnolo. Le acque di Gibilterra a sud della baia di Algeciras, sono una bomba ambientale per l’intero Mediterraneo; come scrisse El Pais due anni fa in un reportage da brivido, è “il luogo con il più alto rischio di versamento di idrocarburi d’Europa e il quarto centro mondiale per quanto riguarda il bunkering” (la pratica di travaso di carburante da una nave all’altra).
Per questo la Spagna ha avviato le procedure europee per la segnalazione di dissesto ecologico causati da questa pratica effettuata senza alcun controllo della quantità di veleno nero che finisce in mare continuamente. D’altro canto lo stretto è uno dei tratti di mare più navigati al mondo e Gibilterra è, come dicono gli spagnoli, la “pompa di benzina tra l’Atlantico e il Mediterraneo”capace di offrire carburante a prezzi inferiori del 20%.
Il bukering non è il solo business off limits di Gibilterra che alla Spagna non va giù. “The Rock”, la rocca, come la chiamano gli inglesi è il centro di contrabbando mondiale di tabacco ed uno dei paradisi fiscali (inserito tra l’altro anche nella black list italiana) dove fiorisce il riciclaggio di denaro sporco.
E così, con Cameron che chiede l’intervento di Barroso e dell’Unione Europea, e Rajoy che si appella alla vecchia risoluzione Onu del 1968 che stabiliva che qualsiasi residuo coloniale che distrugge l’integrità territoriale, come nel caso di Gibilterra, è incompatibile con i fini e i principi delle Carta delle Nazioni Unite, prende forma la crisi tra Spagna e Inghilterra.
Ma perché due delle più importanti nazioni europee arrivano a compromettere i loro rapporti, per una rocca di calcare senza più alcuna importanza strategica e un territorio di 6 km quadrati privo di risorse naturali? La crisi di Gibilterra, vent’anni dopo le Falkland, ha riaperto in Gran Bretagna il dibattito su cosa rappresentano questi residui di un Impero morto e sepolto. Simon Jenkins, sul Guardian ha scritto che “ciò che resta dell’impero britannico oggi per lo più sopravvive negli interstizi dell’economia globale. Sono i beneficiari dell’emorragia fiscale nata dalla globalizzazione finanziaria”. Dalle Bermuda alle Cayman, alle Isole Vergini e a Gibilterra, le ultime colonie inglesi sono piene di patriottici sudditi della regina, pronti a sventolare la Union Jack e a dichiararsi “più britannici dei britannici” basta non pagare le tasse nel Regno Unito e continuare ad essere paradisi fiscali dei fondi finanziari e abili speculatori.
Nel tramonto di questa Europa umiliata da una tecnocrazia senz’anima e una politica senza più cuore, la crisi di Gibilterra sembra emergere da altre epoche e da altri orizzonti; quelli che rievocano diritti su terra e mare, su identità e memoria. Ma è solo apparenza. L’Europa che oggi è chiamata a dirimere la crisi non è di terra né di mare: è di vetro, come i palazzi specchiati dentro i quali lavorano burocrati e tecnici che sembrano vivere senza bisogno di nazioni e popoli.
Come dice il suo motto, Gibilterra “non è espugnabile da alcun nemico”: solo da se stessa.
© Il Tempo, 29 Agosto 2013
(Tratto da “ Il blog dell’Anarca“)