The end of a Kingdom as we know it?
Il 2014 appena cominciato potrebbe rivelarsi un anno dall’enorme portata storica per il Regno Unito, la cui nascita fu ufficialmente sancita l’1 maggio 1707 con il Treaty of Union che disponeva l’unione politica del regno d’Inghilterra (che includeva anche il Galles) e quello di Scozia. Il prossimo 18 settembre si terrà infatti il referendum per l’indipendenza di Edimburgo da Londra e per quanto il clima al momento sia piuttosto soporifero a riguardo, negli ambienti di Westminster c’è chi ha cominciato a pensare a quale risvolti linguistici potrebbe essere sottoposta l’isola in caso di vittoria del fronte del sì: lo ha rivelato Charles Moore nella sua rubrica sul settimanale The Spectator. Lo United Kingdom per come lo conosciamo giungerebbe al capolinea.
I sondaggi indicano che i voti favorevoli alla secessione giungerebbero in gran parte dagli elettori dello Scottish National Party di Alex Salmond, First Minister del parlamento scozzese e che da leader ha portato lo SNP ad assicurarsi una maggioranza solida nell’assemblea, rubando consensi al partito laburista. L’effetto del successo elettorale del 2011 ha accelerato l’istituzione del referendum e Salmond ha presentato l’agenda per il futuro, puntando tra l’altro su whisky, golf e soprattutto petrolio. Ma oltre al marketing promozionale, ci sono i punti interrogativi sollevati da politologi, economisti e commentatori: il piano di Salmond prevede di affiancare economia di mercato e interventismo statale. Con la prima punterebbe a fare della Scozia la diretta concorrente dell’Irlanda, attirando le grandi aziende internazionali che negli ultimi anni hanno trovato casa a Dublino, con il secondo ad assicurare agli scozzesi quei benefici di cui già godono: in termini di spending review, se davvero la Scozia abbandonasse il resto del regno, i conti del governo londinese ne guadagnerebbero. Altro dubbio ingombrante: quale moneta adotterebbe il nuovo stato? Sterlina o Euro?
Tornando ai numeri, il consenso tra gli scozzesi all’ipotesi indipendentista è saldo tra le classi più povere e tra gli studenti, mentre il no tiene banco tra le fasce di reddito medie e ricche. E’ vero che lo Scottish National Party alla tornata di due anni fa ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, ma nei giorni immediatamente successivi all’esito delle urne parecchi elettori, pur dichiarando di aver votato per lo SNP, hanno espresso parere negativo sulla secessione da Londra.
Una situazione da monitorare costantemente.