GOP: il passaggio del testimone
Premettiamo: non sempre si può vincere. Obama non è certo l’emblema della sconfitta o il capro espiatorio dei democratici statunitensi. È comunque reduce da due larghe vittorie presidenziali, ma allo stesso tempo eccessivamente cariche di speranze (hope) riposte su di lui dal mondo intero. Basti pensare al Nobel per la Pace datogli sulla fiducia, senza nessun risultato portato a casa, né un messaggio, che sia pacifista, neutralista o interventista. Insomma, una confusione certamente distante dalle chiare politiche aggressive dei repubblicani precedenti, con in testa il presidente Bush e la sua schiera di consiglieri neocon.
Però la batosta ricevuta dai democrats alle elezioni di medio termine farà riflettere l’establishment del presidente. Tra i più preoccupati risulta esserci la famiglia Clinton, con la lancia in resta già da qualche anno per conquistare la presidenza 2016 con Hillary. Il risultato elettorale non è stato benevolo, ma il partito dell’Asinello si giustifica: non sono elezioni sentite dalla base democratica, che va a votare in massa (relativamente) solo in occasione delle presidenziali.
C’è però dall’altra parte un partito vivo, quello repubblicano, che ha messo da parte la noia degli ultimi anni, in cui le figure erano piuttosto soporifere o non facevano breccia nel cuore degli elettori. McCain e Romney, candidati rispettivamente nel 2008 e nel 2012, furono sonoramente sconfitti. I loro vicepresidenti, Sarah Palin e Paul Ryan, sono al momento impegnati sui propri territori. Ryan ha guadagnato la rielezione battendo ampiamente il candidato democratico. Mantiene al momento un profilo basso per non evitare di essere bruciato, ma prima dell’estate potrebbe ufficiosamente lanciare la sua campagna elettorale per le primarie, che inizieranno a gennaio 2016. Sarah Palin invece, tramite il suo Political Action Committe, ha fatto da madrina a tanti candidati, i quali hanno quasi tutti vinto e costituiranno un eventuale sostegno a una sua candidatura repubblicana. In questi giorni i nomi fatti per la successione a Obama sul fronte repubblicano sono stati tanti, ma i riflettori su Ryan e Palin non si sono accesi. Potrebbe essere un bene – per loro – proprio perché, come detto, mancano due anni al voto e un’eccessiva esposizione mediatica rischierebbe di bruciare la candidatura.
Analizzando i partecipanti delle primarie 2012, vediamo che manca all’appello Rick Santorum, l’unico che cercava di strappare la candidatura, ormai quasi certa, a Mitt Romney. Ormai fuori dai giochi, l’ex Senatore della Pennsylvania ha rimediato qualche comparsata televisiva per commentare l’esito del voto, ma pare assai improbabile una sua ricandidatura alle primarie 2016. Non ha nessun gruppo di sostegno, e forse l’unica sua strabiliante vittoria rimarrà quella in Iowa. Non pervenuto nemmeno Rick Perry, il governatore del Texas, uno dei più accerrimi nemici di Obama ma che probabilmente continuerà a fare politica relegato al suo territorio. Potrebbe essere un influente sponsor di Rick Scott, governatore della Florida, appena rieletto. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri candidati del 2012, molti dei quali erano già agli sgoccioli della loro carriera politica, quali Newt Gingrich, Herman Cain, Jon Huntsman. Stesso discorso per Ron Paul, il quale però ha il figlio, Rand, determinato a correre per le primarie e che fa incetta di voti nell’ambiente conservatore tradizionale e tra i simpatizzanti del Tea Party, ma che non ha comunque lo stesso carisma del padre. Ha dalla sua però l’impegno costante sul territorio e la preparazione politica. Si è chiuso un ciclo tra i repubblicani, ma sicuramente non mancano le nuove leve. Ci sarà da divertirsi, da qui al 2016.