Occorre carattere
Toby Young è associate editor dello Spectator e tra i fondatori di una free school londinese: due settimane fa, nella sua rubrica “Status Anxiety”, è intervenuto nel dibattito sul ruolo della scuola nell’educa il carattere degli allievi. È argomento non esclusivamente britannico, perché la tendenza è ormai diffusa: intervenire sulla crescita caratteriale dei ragazzi, indirizzandoli su ciò che è giusto e meglio – chi decide però cosa lo sia? E perché decide in quella direzione?
Young, pur ammettendo un margine di dubbio, è critico nei riguardi della linea comune, sostenendo che l’indole di un giovane si formi nei primi anni di vita, al punto anche per i genitori risulta pressoché impossibile intervenire. Si può agire su alcuni aspetti della personalità, aggiunge: sulla determinazione e la forza di volontà, sul senso di impegno e sul suo mantenimento, qualità di questo genere – ma non del carattere (schivo o meno, estroverso o no, sensibile o distaccato…).
Una posizione condivisibile perché se la scuola si arroga pure il diritto di plasmare il carattere di un individuo, è lecito attendersi che le ultime difese del confine della sfera della libertà e identità personale crollino sotto i colpi di artiglieria pesante: istituzioni, leggi, direttive, programmi a lungo termine, documentazioni scientifiche a sostegno della tesi interventista. Situazione paradossale per un ambiente che punta a promuovere la coscienza di sé. Purché politicamente corretta, evidentemente.