Il suo nome era Eric Garner (non Michael Brown)
New York City non è il Missouri. Ed Eric Garner non è (anzi, era) Michael Brown. A differenza di quanto è accaduto nella tragica morte del ragazzo di Ferguson, stavolta non sembra davvero esserci una spiegazione sensata per la decisione presa dal grand jury di Staten Island, che ha deciso di non incriminare il poliziotto che ha causato la morte di Garner. Il processo (e non necessariamente la condanna, sia chiaro), in questo caso sarebbe stato sacrosanto. Anche perché non siamo di fronte a ricostruzioni di testimoni oculari in conflitto tra loro, come nel caso di Brown, ma di qualcosa che possiamo vedere con i nostri occhi.
Questo pezzo di Sean Davis su The Federalist (e queste considerazioni di Glenn Reynolds su Instapundit) spiegano bene la vicenda. E la spiegano vedendola da destra, cioè senza le lenti deformanti dell’ipocrisia liberal che, come sempre, ne farà una questione di colore della pelle per strumentalizzare a fini politici la vicenda. Ma qui la razza c’entra poco. C’entra, invece, una tendenza preoccupante verso lo stato di polizia che – dopo aver ucciso l’Europa – rischia di fare altrettanto con la più grande democrazia del pianeta. Se Brown era reduce da un furto violento in un negozio, l’unica colpa di Garner è stata quella di vendere “sigarette sfuse” a un angolo della strada! Ma non fatevi illusioni: i due casi verranno messi insieme e trattati come se fossero uno solo.
Adesso aspettiamoci qualche esplosione di violenza a New York, con looting incorporato. Le vedove di Ferguson hanno già cominciato la loro danza macabra (vezzeggiate dalle solite dame di compagnia).