Being Donald Trump
Se non vogliamo consegnare il cervello alla pletora dei Federico Rampini di ogni parte del mondo, bisognerà smetterla di demonizzare in modo altezzoso Donald Trump e iniziare ad analizzare il fenomeno, perché (a torto o a ragione di fenomeno si tratta) il “ciuffettone” newyorkese ha oramai di gran lunga oltrepassato nei fatti lo stereotipo del miliardario stravagante, arrogante e greve e marcia verso il duello diretto per accaparrarsi la guida del Paese più influente del Mondo.
Contro chi? Contro la signora Clinton molto probabilmente, però non più brillante e tronfia come pareva solo pochi mesi fa. L’ex segretario di Stato, infatti, perde pezzi, e laddove vince (per carità, vince), a volte lo fa di misura contro il suo sfidante Sanders (di gran lunga più empatico – guarda caso – con i giovani e le donne), e – dulcis in fundo – ha sulla sua testa un’indagine federale il cui esito non è del tutto scontato. Qui su certe questioni non si fanno sconti, neanche se ti chiami Clinton.
Dunque Trump, dopo l’ennesima vittoria (e qualche sconfitta contro Ted Cruz sul quale – più che su Rubio – pare si stiano concentrando gli apparati del partito), giunta a seguito un dibattito tra i suoi avversari a dir poco avvilente (che il “celodurismo” di marca leghista era una cosuccia raffinata), è quasi in dirittura d’arrivo.
Al momento – a dire il vero – lo sconfitto sulla scena è il partito Repubblicano che non ha saputo trovare le contromisure per arginare il suo peggior nemico. Un nemico cresciuto come indipendente si, ma pur dentro le mura domestiche. E non ci sono scuse: l’apparato Repubblicano é scoppiato quasi alla stregua del centro-destra italiano. A meno che, tra Cruz e Rubio, da ultimo non si faccia avanti Bloomberg. E allora, chissà.
Comunque sia a me, francamente, la cosa che fa più ridere in tutto il caos di queste primarie d’America è che Trump, praticamente, non ha speso un dollaro per la sua campagna elettorale, anzi – forse – ci ha pure guadagnato! E qui in America, se il denaro (come lo fai, quanto ne fai, ecc…) nella percezione e nel giudizio della gente non é tutto, poco ci manca.
Insomma, partiamo con il dire che Trump una certa genialità già l’ha dimostrata: un po’ Grillo, un po’ Salvini (tanto per farci capire) e molto sé stesso; fin ora non ha sbagliato una mossa. Certo ha detto e fatto cose da far accapponare la pelle, ma ha guadagnato da mesi le aperture di tutti i telegiornali ed é entrato in sintonia con un pezzo di popolo americano forse da decenni fuori dal dibattito politico e quindi totalmente privo di rappresentanza.
Insomma, Trump ha dato, in una parola, dignità a un pezzo di società frustrata (“io amo le persone ignoranti”, ha detto recentemente) e questo popolo potrebbe fare la differenza – semmai sarà Trump il contendente – il giorno del voto.
Non dimentichiamo che nel 2008 espressero la loro preferenza 131 milioni e 407 mila americani su 229 milioni e 945 mila aventi diritto al voto. Insomma solo il 57,1 degli elettori e si urló al miracolo della partecipazione! Ed ecco che Trump potrebbe far alzare notevolmente il numero dei votanti, mobilitare folle di bifolchi adoranti. Che – al di là della percezione che abbiamo noi a pensare che l’America sia New York o San Francisco – sono davvero tanti.
La sensazione, poi, é che Trump non creda affatto alle sue sparate, ma che abbia intuito prima e più degli altri contendenti (privo com’è di qualunque inibizione o buon gusto intellettuale) che lo “scollamento” di interi blocchi sociali dalla vita politica negli Stati Uniti è assoluto, peggio – per intenderci – di quanto avviene da noi.
In questo senso tutto il mondo é Paese: la parolaccia unisce, certo cinismo (specie dopo decenni dittatura del politicamente corretto) e una certa idea di ribellione contro lo Stato modulata con molto isolazionismo populista, sembrano la soluzione. Perché, seppure la disoccupazione qui negli USA è sotto il 5 per cento, la differenza tra disoccupazione e tirare la cinghia a causa di un lavoro mal pagato (così come il gap sempre più esagerato tra le immense ricchezze di pochi e la sopravvivenza della maggioranza), è minima.
Insomma, Trump è al momento sostanzialmente una macchina da consenso e forse, per capire veramente chi è e che cosa sia politicamente, bisognerà attendere – qualora fosse lui il vincitore delle primarie – la seconda parte della competizione elettorale, quando sceglierà il suo vice e presenterà la sua squadra. Quando, dunque, si farà sul serio e tutti gli occhi del mondo saranno puntati sull’America.
Di Hilary Clinton, invece, si sa già tutto (anche troppo) e quel che si conosce non sempre convince. La pressione e l’eredità esercitata da Sanders verso una visione più “liberal” e socialisteggiante della politica economica e sociale, certamente si farà sentire, ma il paradosso potrebbe essere che, qual ora fosse Trump il suo antagonista, su molte questioni la più Repubblicana tra i due potrebbe essere proprio lei.
Paradossi della nostra epoca che uniscono – come non mai – l’America di oggi al vecchio continente.
Il GOP ha trovato l’unico modo per perdere l’elezione di Novembre: perdere le sue stesse primarie.
Trump non è un republicano e, come ha giustamente osservato il santore Ben Sasse del Nebraska, la cosa peggiore è che non è nemmeno un conservatore. Dal mio punto di vista non è nemmeno un liberal, come molti lo accusano di essere, è semplicemente un personaggio che di volta in volta dice la cosa che gli sembra più conveniente per la sua causa. A Trump interessa vincere, punto.
E’ una versione “selvaggia” di Hillary Clinton. “Selvaggia” perché se la Cliton oscilla tra il centro e la sinistra, Trump copre praticamente l’intero spettro, incluse le estreme, passando disivoltamente dalla tortura e dalle ritorsioni nei confronti delle famiglie (magari ignare) di chi compie atti terroristi, alla difesa del single-payer system perché altrimenti “si lascia che la gente muoia per strada”.
In una campagna elettorale di qualche mese la Clinton probabilmente si troverebbe scavalcata da Trump a sinistra più di una volta.
Hillary Clinton è un candidato debolissimo, il fatto che un anziano socialista del Vermont la stia tenendo sulla corda dimostra che per il GOP a novembre dovrebbe essere una passeggiata e i repubblicani avevano ampia scelta di candidati che nella general election avrebbero fatto l’ex first lady a strisce (facendole anche vedere le stelle, per restare in tema USA): John Kasich se la caverebbe bene in un ipotetico testa a testa, ma dal mio punto di vista è soprattutto Marco Rubio che avrebbe potuto mettere la vittoria in cassaforte, riportando in casa GOP almeno una parte di tutto quel voto ispanico che ha di fatto garantito la rielezione di Obama nel 2012.
Un ticket Rubio-Kasich avrebbe fatto piazza pulita “across the board” con punti di forza in Florida e Ohio, ovvero proprio quei swing stati che un repubblicano che ambisce alla Casa Bianca deve vincere.
Al momento pare che il meglio che si possa sperare sia un ticket Cruz/Rubio, che lascia più di una perplessità perché dubito che la sola presenza di Rubio come VP basti a fugare i dubbi dell’elettorato moderato nei confronti di Cruz. Dubbi che peraltro condivido. Ed è indubbio che lo stesso Rubio abbia danneggiato nel poco la sua immagine con il week-end scellerato tra il dibattito di Houston (dove aveva fatto faville) e il supertuesday. Chiunque l’abbia consigliato andrebbe mandato in Siria disarmato.
E quindi probabilmente il nominee sarà Donald J. Trump (per quanto non è scontato che arrivi a quota 1237 delegati), ovvero l’unico dei quattro rimasti che nella media RCP è sotto Hillary, e nemmeno di poco: più di 6 punti mentre sto qui a scrivere.
Che poi la cosa peggiore per il GOP non è nemmeno questa, perché un Trump vincente probabilmente sarebbe anche peggio, e non solo perché vorrebbe dire dover aspettare il 2024 prima di rivedere un conservatore correre per la Casa Bianca.
Vista da qui onestamente sembra un suicidio di massa.
Personalmente sono anni che sento di non avere una rappresentanza polica in Italia. Se Trump sarà il candidato repubblicano alla Casa Bianca cesserò (almeno temporaneamente) di averne anche negli USA.
Scusate per i “typos”, ho scritto di fretta tra un appuntamento e l’altro perché, onestamente, mi prudevano le mani!