Il Grande Cruzby?
Un recente articolo della testata online “The Hill” ha approfittato del lancio di un nuovo spot elettorale intitolato “Lyin’ Ted” (realizzato dal Super-PAC “New Day for America”, supporter della candidatura di John Kasich) al fine di realizzare una breve analisi di quanto, nella campagna elettorale del senatore junior del Texas, ha finora giustificato questa efficace espressione coniata dal front-runner Trump e, con tutta evidenza, divenuta ora anche una delle frecce nella faretra del governatore dell’Ohio.
Desiderando comunque marcare una certa differenza di stile rispetto a “The Donald”, lo spot ha evitato allusioni riguardo le recenti accuse trumpiane di essere un pluri-fedifrago, limitandosi a rimproverare a Cruz principalmente le voci fatte trapelare dal suo staff riguardo il ritiro (in realtà inesistente) dalle primarie repubblicane del dottor Ben Carson in coincidenza con il caucus dell’Iowa, Stato a forte impronta evangelica in cui le posizioni nettamente pro-life del neurochirurgo di Detroit avrebbero danneggiato elettoralmente il senatore texano. Altro elemento di critica sarebbe rappresentato dai recenti sondaggi presidenziali che vedrebbero Kasich come l’unico in grado di sconfiggere nettamente la Clinton, malgrado Cruz continui ad affermare di essere l’unica scelta possibile e vincente per il Grand Old Party.
Se nel Bel Paese l’accusa, rivolta ad un politico, di essere un mentitore seriale ha quel retrogusto naif che la rende quanto meno un’arma spuntata, non altrettanto può dirsi negli States dove -non a caso- sono oramai mesi che i media vicini al GOP (e gli stessi candidati alla nomination) non perdono occasione per affibbiare l’epiteto alla ex first Lady Clinton, per la serie conclamata di bugie con le quali ha tentato di coprire il suo nefasto operato alla Segreteria di Stato (ricordiamo tra gli altri il Benghazi-gate e lo scandalo sulle email riservate dei servizi segreti inoltratele dal suo staff su un indirizzo di posta personale non protetto). Se tuttavia tali scandali sembrano non aver finora sabotato la campagna elettorale per la nomination democratica di Hillary, l’accusa di essere un mentitore seriale (il trumpiano “Lyin’ Ted”) rivoltagli dai due compagni di corsa rischia di avere maggiore successo nel danneggiare Cruz presso quella fetta di elettorato conservatore di stampo evangelico e pentecostale che -pur non essendo monopolizzato dal senatore texano- ha finora rappresentato comunque la spina dorsale dei movimenti grassroots con i quali ha potuto condurre una campagna elettorale old-style ma altrettanto efficace.
Pur ricordandoci con le parole del Cancelliere tedesco Bismarck che “la politica è l’arte del possibile” sarebbe tuttavia il caso di scomodare il forse più consono (e americano) romanziere Francis Scott Fitzgerald, autore di quel monumento nazionale su carta rappresentato dalla sua ruggente e decadente America degli anni ’20 narrata ne “Il grande Gatsby”. Se effettivamente, foto alla mano, l’affascinante Jay Gatsby protagonista del romanzo (interpretato nei due adattamenti cinematografici rispettivamente da Robert Redford e Leonardo Di Caprio) potrebbe avere poco a che spartire con il tutt’altro che patinato senatore texano di origini cubane, il ritratto umano che invece vorrebbero suggerirci i due rivali per la nomination repubblicana è per l’appunto quello di un impostore che si dipinge come l’iconico portabandiera della destra religiosa e teapartista -e del mondo conservative in generale- senza avere i requisiti morali per esserlo (al pari del carismatico milionario self-made Gatsby, volto presentabile e immacolato della malavita organizzata).
Difficile al momento capire effettivamente quale sia il limite tra la verità e la fiction elettorale, con tutti i suoi artifizi e le sue tempeste in bicchieri d’acqua (o di tea, come direbbero gli statunitensi), lasciamo dunque che a stabilir una momentanea e riconciliatoria tregua siano le parole che Fitzgerald mette in bocca -in conclusione di romanzo- al giovane agente di cambio Nick, voce narrante della storia e unico vero amico del tormentato protagonista: “Ricordai di come eravamo tutti venuti da Gatsby col sospetto della sua corruzione, mentre lui stava in mezzo a noi nascondendo un sogno incorruttibile”.