Global Warming & Psicoreati
Negli ultimi anni capita sempre più spesso di imbattersi in episodi sgradevoli, figli di una guerra ideologica tra ciò che è reputato universalmente “corretto” e ciò che è combattuto come “scorretto”. Che questo avvenga in un preciso periodo storico in cui la ragione comune è priva di ogni regolamentazione, all’insegna della più grande ondata di relativismo intellettuale, politico e sociale, è decisamente curioso.
Ma chi abbia legittimato chi reputa, in maniera insindacabile (per carità!), cosa possa meritare l’etichetta di “giusto” e quella di “sbagliato” continua ad essere, per chi scrive, un quesito irrisolto. Ci siamo abituati, grazie ad una dedizione tipica di chi tenta tra le mille difficoltà di comprendere le dinamiche della società italiana, a esaminare i variegati e sempre originali tentativi di redigere dei veri e propri manifesti di una decantata superiorità morale, non di meno, antropologica dei “giusti”.
Guai quindi a schierarsi a favore, ad esempio, del progresso in nome del benessere, della libertà individuale, della concorrenza, della proprietà privata e perfino dell’oramai utopica meritocrazia. Sarebbe irriguardoso, poi, il solo ipotizzare di poter discutere apertamente sull’opportunità o meno di mettere in dubbio alcune tendenze cardinali di questo nuova rivoluzione intellettualistica che influenza il linguaggio di numerosi segmenti della nostra società.
Dalla politica, al mondo accademico, dal cinema, alla musica, dalla moda allo sport.
La catalogazione è semplificata. Le unioni omosessuali, con annesse adozioni, sono giuste; la difesa della famiglia tradizionale è sbagliata. Il controllo dello Stato sulla vita di ogni individuo è giusto, la libertà di ambire all’emancipazione economica dallo stesso è sbagliata. La green economy è giusta, un’economia che non dipenda da un sussidio pubblico è sbagliata.
In queste macro categorie non c’è spazio per il confronto, per il dibattito e per l’analisi. Si deve stare da una parte o dall’altra, si deve fare una scelta di campo tra ciò che (superficialmente) potrebbe essere etichettato come, appunto, “giusto” (la cultura socialista-ecologista) e “sbagliato” (i conservatori-liberali). L’evoluzione dello scontro ideologico negli ultimi anni ha ristretto sempre di più il già limitato campo d’azione di questi ultimi. Il liberismo, infatti, è divenuto una sorta di crimine contro l’umanità e il conservatorismo un movimento al dir poco anacronistico, che si oppone a quella che dovrebbe essere un’inevitabile contaminazione di idee politicamente corrette.
Quello che rende inaccettabile il livello dello scontro culturale è la partecipazione degli strumenti politici con la collaborazione, a volte, di quelli giudiziari.
La National Review ieri ha denunciato, in un articolo firmato dalla redazione, quello che sarebbe stato un grave tentativo di intimidire un pensatoio, un think thank di tendenze libertarie il Competitive Enterprice Institute di Washington, attraverso una citazione in giudizio del procuratore generale delle Isole Vergini americane Claude Earl Walker.
Il motivo di tale procedimento a carico del CEI, sarebbe riconducibile alle tematiche trattate dal think thank, un dibattito costante sul global warming e sul valutare la possibilità di mettere in discussione talune considerazioni divenute certezze. Senza entrare troppo nel merito, tra le richieste del procuratore generale non c’è solo il materiale prodotto dal CEI tra il 1997 e il 2007 sul cambiamento climatico, ma anche lo scambio di email private, bozze e altri documenti.
È su questo punto che la National Review, tra l’indifferenza dei mainstream media, rimarca quello che sarebbe il vero obiettivo del procedimento, “il pesce più grosso” la multinazionale ExxonMobil che in passato è stato un donatore privato del CEI.
Il 29 marzo scorso c’è stata una conferenza stampa con protagonisti procuratori generali vicini al partito democratico, con al loro fianco il paladino della lotta al riscaldamento globale, l’ex presidente Al Gore. In questa conferenza stampa politica dei procuratori generali accorsi da molti stati degli Stati Uniti, si è parlato di perseguire in maniera “creativa” la battaglia contro il riscaldamento globale e di usare in maniera “aggressiva” i loro poteri giudiziari. La commistione con la politica delle battaglie culturali intraprese dall’amministrazione Obama sembrerebbe palese…
Non si tratta di difendere in procedimenti giudiziari penali una multinazionale (può sicuramente permettersi degli ottimi avvocati) o qualsiasi altro soggetto privato. La preoccupazione nasce quando si calpestano dei diritti di cronaca e di pensiero. Il problema sorge quando sembrerebbe essere in atto una manovra ostruzionistica nei confronti di un dibattito libero da vincoli ideologici, che dovrebbe essere escluso dall’attivismo politico in contenziosi pubblici.
Dovrebbe essere garantita a chiunque la libertà di schierarsi a difesa delle proprie idee, senza il timore di potersi imbattere in un procedimento giudiziario, garantendo un’equità di giudizio, senza correre il rischio che con il tempo possa diventare l’anticamera di uno psicoreato.