Turchia e golpe
Le possibilità d’ingresso della Turchia nell’Ue sono direttamente proporzionali al numero dei suoi Mc Donald’s. Piccola provocazione che nasconde tutte le differenze tra Europa e un Paese mai stato così lontano dai valori e dalla cultura occidentali. Insomma la diffusione del panino più famoso d’Occidente potrebbe essere il termometro che misura il grado sviluppo economico e sociale dello Stato con il secondo esercito più numeroso di tutta la Nato. A 72 ore dal colpo di Stato ciò che conta, prima dell’annosa questione dentro o fuori l’Europa, è però l’umiliazione. Chi ha tradito muore o, peggio, viene sbattutto in mutande sui media di tutto il mondo come un criminale qualsiasi. Intanto il presidente Erdogan, in un’intervista alla Cnn, fa sapere che reintrodurrà la pena di morte se il Parlamento la varerà. La Turchia mostra il suo lato peggiore. Quello della vendetta, del rimorso e della negazione dello Stato di diritto. E dire che tutto è andato per il meglio non è così semplice. Non si può infatti dimenticare che chi si è ribellato, chi ha alzato la testa contro Erdogan sia molto vicino alle idee del padre della patria, Mustafa Kemal Atatürk. Il dio della laicità per il popolo turco. L’uomo in nome del quale l’esercito ha tradito il governo filo islamista. Ciò che resiste a tre giorni dal golpe, come detto, è la paura e l’umiliazione. I militari sono quelli che se la passano peggio: messi in ridicolo. Mani e piedi legati, seminudi, ammassati gli uni sugli altri. Lo scatto, apparso su Twitter, ritrae decine di uomini detenuti ad Ankara dopo il fallimento del colpo di Stato dello scorso 15 luglio. In Turchia sono 7.500 le persone arrestate: 100 poliziotti, 6.038 soldati, 755 giudici e procuratori, 650 civili. Lo ha dichiarato il primo ministro turco, Binali Yildirim, in un discorso trasmesso dalle tv nazionali. Per 316 è stata confermata la custodia preventiva. Circa 1.500 dipendenti pubblici sono stati sollevati dai loro incarichi dal ministero delle Finanze. Oltre 100 golpisti sono stati uccisi. Il presidente turco ha prorogato l’ordine per i caccia di pattugliare lo spazio aereo di Istanbul e di Ankara dopo aver vietato agli elicotteri militari di decollare da Istanbul. Mentre il governo turco impone il divieto di espatrio ai dipendenti pubblici.
La repressione All’alba di oggi le forze di sicurezza hanno effettuato nuove retate tra le fila dell’esercito, proseguendo le “grandi pulizie” di cui aveva parlato ieri anche il ministro della giustizia turco, Bekir Bozd. Istanbul è presidiata da circa 2000 agenti dei reparti speciali, dispiegati a presidio delle aree del centro e piazza Taksim per controllare le principali arterie di collegamento e gli accessi ai punti più importanti della città. Le unità dell’antiterrorismo hanno fatto irruzione nella prestigiosa Accademia dell’Aereonautica di Istanbul alla ricerca di golpisti o di loro fiancheggiatori. Le autorità turche hanno sospeso 30 prefetti su 81 e in totale i dipendenti del ministero dell’Interno sollevati dai loro incarichi sono 8.777, di cui – oltre ai prefetti – 7.899 poliziotti (costretti a riconsegnare armi e distintivi), 614 gendarmi e 47 governatori di distretti provinciali. Oltre 6mila i membri dell’esercito e del corpo giudiziario arrestati, tra cui spiccano 103 tra ammiragli e generali e due giudici della corte costituzionale. Tra i militari arrestati, il consigliere militare del presidente Erdogan, colonnello Ali Yazici, il comandante della Seconda Armata, generale Adem Huduti, il comandante della Terza Armata, Erdal Ozturk, l’ex comandante della forza aerea, Akin Ozturk, ritenuto il leader dei golpisti, e il comandante della base aerea Nato di Incirlik, generale Bekir Ercan. E mentre l’Occidente si affanna a bocciare qualsiasi “purga”, la risposta di Ankara si perde nell’affanno di riportare l’ordine nel Paese a qualsiasi costo.
Morti e feriti Ancora tensioni nella capitale turca. Un uomo in uniforme militare è stato ucciso dalla polizia dopo che aveva aperto il fuoco nei pressi del Tribunale di Ankara. A Istanbul sarebbe morto il vicesindaco Cemil Candas (esponente dell’opposizione) contro il quale almeno 2 persone hanno aperto il fuoco nella sede della municipalità di Sisli, nel centro di Istanbul, ferendolo alla testa. Dopo militari e giudici, le “purghe” coinvolgono la polizia e non solo. Le autorità hanno introdotto una nuova regolamentazione che vieta l’espatrio ai dipendenti pubblici con alcune eccezioni per alcuni passaporti speciali, che necessiteranno comunque dell’approvazione dell’istituzione presso cui si lavora. Secondo alcune stime, il provvedimento riguarderebbe quasi il 5% della popolazione turca. Per chi ha partecipato materilmente al golpe c’è il pubblico ludibrio. La vergogna di finire in mutande davanti al mondo. Un’immagine che stride con il cammino europeo di Ankara. Non a caso chi viene umiliato difende lo Stato di diritto e la laicità. Quella laicità consumata di corsa in un fast food di una qualsiasi strada turca. Il vero gesto di ribellione contro chi è culturalmente troppo lontano da Bruxelles.
(da “Il Tempo” del 18 luglio 2016)