Le parole che non vi abbiamo detto
Al netto delle fredde analisi sui numeri, queste, sono le prime righe che scriviamo dopo che il ciclone Trump ha travolto editorialisti, analisti, sondaggisti e, soprattutto, Hillary Clinton. La vittoria di The Donald non era stata pronosticata nemmeno qui, dove solitamente tendiamo a diffidare da quel che dicono i mainstream media. E proprio per questo, soprattutto per i tanti che ci conoscono e i pochi che ci leggono, è giusto partire dalle scuse. Nonostante pensassimo di aver ormai maturato solidi anti-corpi contro il pensiero dominante, anche noi ci siamo fatti condizionare dalla mole gigantesca di motivi per cui Donald Trump non avrebbe potuto vincere le presidenziali americane.
Abbiamo riflettuto molto su questo aspetto, perché negli ultimi anni mai ci siamo fermati ad un livello così superficiale di analisi. Perché è accaduto? Innanzitutto va detto che mai come quest’anno tutto puntava in un’unica direzione. Non è una giustificazione, è un fatto. In questo coro monocorde c’erano comunque molti spunti che andavano esplorati con più attenzione. Sondaggi con i democratici sovra-rappresentati rispetto al loro peso nel turn-out, rilevazioni sui singoli stati che lasciavano intravedere una gara molto più combattuta di quel che si diceva, buchi importanti nella campagna elettorale della Clinton. Non abbiamo visto, o meglio non abbiamo voluto vedere, quei numeri e quei segnali. Ci dispiace davvero e ce ne scusiamo: se i blogger fanno solo le veline dei giornalisti finiscono per diventare, nella migliore delle ipotesi, delle rassegne stampa di qualità.
Abbiamo girato gli occhi dall’altra parte anche perché, sin dall’inizio della campagna per le primarie repubblicane, abbiamo flirtato con il movimento dei cosiddetti #nevertrump, ma senza abbandonare mai il campo dei #neverhillary. Fedeli alla tradizione fusionista e conservatrice della National Review, abbiamo ritenuto da subito che Donald non potesse essere, in nessun film possibile, il candidato vincente per il blocco repubblicano. La questione più spinosa riguarda il futuro, non tanto il passato, e impone di sciogliere il nodo su cosa dovrebbero fare oggi quelli come noi. È molto semplice: bisogna prendere atto della realtà. Ci siamo sempre distinti dai progressisti e dai democratici perché non abbiamo mai avuto la pretesa di piegare il mondo alla nostra agenda politica e perché abbiamo sempre ritenuto il discorso attorno alla politica, e soprattutto attorno ai partiti, un’attività che andava limitata così come va limitata l’influenza dello stato. Abbiamo sempre pensato, e continuiamo a farlo, che le cose che contano davvero stiano fuori dalla politica e debbano continuare ad essere lasciate in pace dalla politica: la famiglia, la fede, la cultura, la vivacità delle nostre comunità.
L’agenda Trump, come spiega bene Giuliano Ferrara in questo editoriale e David Brooks in questi due pezzi, rischia di essere antitetica rispetto a questa visione. Ma non abbiamo scelta. Trump ha provocato o, meglio, non ha impedito che un’onda conservatrice si muovesse in tutti gli Stati Uniti. Trump ha raccolto attorno a sé un movimento, ha lasciato che un altro movimento (quello repubblicano non intellettualista) si sviluppasse e corresse vicino a lui, senza interferenze e senza sgambetti. Oggi le carte che abbiamo in mano sono il meglio che avremmo potuto sperare: un Presidente, Camera e Senato, la maggioranza dei Governatori, la maggioranza delle assemblee legislative statali, una prossima nomina alla Corte Suprema. Il Presidente non è quello che avremo scelto, anzi: è quello che avremo voluto evitare. Ma non possiamo avere una fetta della torta senza farci piacere l’intera torta. Quindi non possiamo far altro che lavorare per questa presidenza, perché venga difesa nella sua legittimità qui in Europa, dove viene capita di meno. E perché la sua lezione non finisca inascoltata. Quell’America profonda parla soprattutto a noi, ci racconta di una via possibile per il governo, di una ribellione contro le élite che nessuno si incarica di interpretare adeguatamente e di un popolo che sceglie sapendo che la politica non è tutto, non è la cosa più importante, non è la cosa migliore che abbiamo. È uno strumento, utile anche a lanciare segnali forti come questo. Chiamatela “maggioranza silenziosa”, “right nation” o “alternative right”: è solo la gente comune che si è rimessa in cammino.
Qui avrebbero scelto quel pappamolla di Romney
Vi ringrazio di avere rotto il silenzio, che cominciava a farsi pesante.
Fusionismo o no, la vittoria di Trump apre degli spazi…la cappa politically correct è pesante
Vi saluto in attesa della vs ritrovata capacità di analisi
Hanno ritrovato la capacità di analisi perchè Trump ha vinto.
tutto qui. gli autori di questo pezzo volevano Romney terzo candidato che voleva dire vittoria alla Clinton istantanea.
Romney terzo candidato? Dammi l’indirizzo del tuo pusher.
devi chiedere al tuo socio Bressan 🙂
riguardati i suoi post su FB caro Mancia
si legga il post del socio Bressan del 2 Marzo
a presto e cercate di bere meno
Facebook? Pensavo che lì ci fossero solo notizie false…
Mancia, lei è davvero un originale simpaticone.
Accetto il complimento, con riserva 🙂
Trump ha iniziato a vincere con il discorso/comizio che ha tenuto il 22 ottobre a Gettysburg dove spiegò il suo programma. Seguire la campagna elettorale significa soprattutto seguire ben altro rispetto alle varie sfide TV o altre amenità del genere.
Non è un caso che il quotidiano La Stampa ex post vittoria elettorale ha iniziato a pubblicare le testimonianze dei c.d. diseredati e la stessa middle class che ha votato per Trump. Anzi, una testimonianza addirittura pochissimi giorni prima delle elezioni.
Che la scelta di Gettysburg sia stata in realtà una sorta di “profezia” tralasciata dalla stragrande maggioranza? E’ avvenuto quasi sempre.
Il Corsera ha pubblicato lo scorso 01 ottobre l’intervista allo storico Allan Lichtman, di cui iserisco il link solo ora, e anche questa testata l’ha solo pubblicata senza darle un minimo di valenza facendosi “risucchiare” in un vortice di pura follia di pseudo informazioni provenienti dai media USA, voci e sciocchezze del genere nonché non seguendo e non analizzando l’evento di Gettysburg di cui in precedenza. Tutto ciò cosa in realtà ci dice, almeno a me e pochi intimi? Che il sistema dell’informazione ormai non svolge più la funzione di analisi approfondita ma giudica e imbratta con fiumi di inchiostro pagine e pagine, attraverso gli scritto e/o solo le parole pronunciate nelle varie tv, i rispettivi media presa come è dalla follia dell’onnipotenza del proprio “verbo/credo” che molte volte corrisponde alle volontà non certamente chiare e trasparenti di gruppi di poteri i quali preferiscono operare nell’ombra e manovrare l’opinione pubblica con banali sciocchezze facendole passare per i diritti di cui gli individui hanno bisogno per vivere. Il che non è assolutamente vero ora come sempre.
Ecco il link e buona lettura
:
http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/09/30/vi-spiego-perche-vincera-trump-repubblicani-voteranno-non-perdere-corte-suprema-9f2c3ff6-86f8-11e6-b094-d674d9773420.shtml
Ascoltare nella trasmissione 8e1/2 le parole del direttore de L’Unità, ex PCI e con il placet della conduttrice, con le quali più volte ha definito in modo sprezzante e offensivo gli elettori americani che hanno votato Trump ma ha fatto venire un conato di vomito. E poi questi sciatti si continuano a piangersi addosso per la sconfitta del loro idolo. E questa l’elite della sinistra italiana e USA.
Hanno urgente bisogno di un trattamento molto forte di carattere sanitario.
Con quanto affermato oggi da quel tizio si è composto il trittico Napolitano, Rondolino e quest’altro genio. Evviva!