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Dissidenti non finiani
Il Popolo della Libertà è un partito costruito a immagine e somiglianza di Silvio Berlusconi: convention con acclamazioni, jingle che sembrano canzoncine di Cristina D’Avena, una schiera di parlamentari che ben che vada portano un devoto rispetto al leader. E’ stata in parte così l’esperienza di Forza Italia. E’ così, con alcune esacerbazioni inacettabili, il Pdl. C’è chi da anni chiede un partito diverso. Lo fa parlando di primarie, di giovani, di meritocrazia. Lo fa perché non condivide l’idea che i parlamentari vengano nominati da uno stretto giro di segreterie a loro volta nominate da un giro ancor più stretto nominato da nessuno. Questo è. E ne abbiamo parlato così tante volte, nel nostro piccolo, da risultare noiosi ai più. Ma lo abbiamo fatto con la precisa convinzione che questo partito si potesse cambiare, che per questo partito valesse la pena di spendere due gocce di credibilità personale e di metterci la faccia. Ci chiamavano dissidenti, qualcuno ci guardava con sospetto, qualcun altro con favore. In ogni caso ci guardavano. Non siamo mai stati tanti e non abbiamo mai avuto le luci della ribalta, anche perché in Forza Italia prima e nel Pdl poi ci siamo sempre stati con convinzione e alle conferenze stampa abbiamo preferito la militanza e il dissenso costruttivo. Poi è arrivato Gianfranco Fini e ha annientato ogni reale possibilità di migliorare il Pdl. Gianfranco Fini semplicemente non sopporta la leadership di Silvio Berlusconi perché uguale e opposta alla sua. In Alleanza Nazionale la gestione del potere è stata molto peggiore e antidemocratica di quanto avviene oggi nel Popolo della Libertà. E di quella gestione Gianfranco Fini era il leader e ispiratore indiscusso. Se il Pdl è fondato sul centralismo carismatico, Alleanza Nazionale si è basata per anni sull’assolutismo sdoganatore del suo leader che, a colpi di piroette, ha prima abiurato il fascismo, poi ammesso che anche i gay possono insegnare nelle scuole, poi si è ricordato che agli immigrati potremmo anche riconoscere qualche diritto. Nel mentre i custodi dell’ortodossia fascista, anti gay e anti immigrati del delfino di Almirante venivano fatti fuori e nascosti sotto il tappeto per evitare di sporcare l’album di famiglia. In tutto questo baillame ogni passaggio democratico è stato sempre vissuto come un inutile disturbo al manovratore. Oggi Fini diventa il paladino di tutti quelli che vorrebbero un Pdl migliore. Lo fa, come sempre, a modo suo, per suo tornaconto personalissimo. L’ultima possibilità di cambiare questo partito l’ha uccisa lui, mettendo il cappello sopra ad ogni iniziativa riformatrice, con il solo intendo di indebolire la leadership di Silvio Berlusconi e di affermarne un’altra, la sua. Così facendo ha assimilato ogni voce distonica rispetto al mainstream dei berluscones e costretto tutti a scegliere semplicemente tra lui e Berlusconi. Noi, che non vorremo sostituire un principe ad un monarca ma creare le condizioni per un partito che si scelga democraticamente la sua classe dirigente, stiamo sempre qui a chiedere le primarie. Che, sia detto al Cav sottovoce, rimangono l’unico strumento per far capire ai finiani quanta parte di consenso ancora abbiano nel centrodestra nazionale.