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Io non C’entro
Ormai il tormentone dell’estate è questo: Pdl e Udc faranno una nuova, mastodontica, alleanza per le regionali 2010? Pare chiaro a tutti, tranne che a Silvio Berlusconi, che l’Udc è tutto meno che un partito di centrodestra. E’ un partito di centro, neo-post democristiano, che ha alcuni obbiettivi tattici e su quelli gioca la sua linea politica. Se qualcuno ha in mente scenari fusionisti è meglio che lasci perdere e guardi altrove. Qui non abbiamo nè conservatori, nè tantomeno liberisti, ma al massimo un’accozzaglia di ex post qualcosa con un gran bisogno di una poltrona su cui sedersi, un po’ di potere da spartire e poca voglia di pensare ad un progetto di medio periodo (nota per Paulin:vale sia per il PdL che per l’Udc). Credo che ogni grande partito nazionale abbia il dovere politico di sentire la base sulle questioni locali e lasciare ai territori il compito di determinare alleanze, assetti e coalizioni. Ma sono anche conscio del fatto che in una politica verticistica e romanocentrica come quella che ci ha lasciato in eredità la Terza Repubblica sia impossibile non ragionare senza un quadro complessivo che tutto ricomprende. Se diktat ci dovesse essere, però, dovrebbe essere quello di non fare alleanze con il partito di Casini. Per ragioni ideali, tattiche e strategiche. Ideali, ma sono quelle che oggettivamente contano meno, perchè non possiamo non tenere conto delle immense diversità esistenti tra le due famiglie politiche che pur richiamandosi ad ogni piè sospinto al popolarismo europeo denotano differenze antropologiche su tutti i grandi temi che interessano il nostro paese. E non siamo di fronte ad opzioni che si completano, quanto più a distanze che, più passa il tempo, più si ingrandiscono. Le ragioni tattiche stanno nel senso stesso di quest’alleanza. Se dev’essere, deve essere ovunque. Bisognerebbe chiedere all’Udc di uscire dai governi di centrosinistra del Trentino Alto Adigie e di sostenere il governo Berlusconi a livello nazionale. E questo non conviene innanzitutto al PdL che vede nel governo del paese e in un gioco delle parti con la Lega il vero motore del successo elettorale del centrodestra e dell’incapacità del Pd di elaborare una strategia alternativa. Le ragioni strategiche, quelle che più mi interessano, riguardano non tanto il “cosa vogliamo fare oggi” ma il “cosa vogliamo essere domani”. Chi come me crede nei valori del libero mercato, della libertà di impresa, chi vuole una società incentrata sulla responsabilità individuale e governata da uno stato minimo. Chi, concretamente, chiede meno stato, meno tasse, meno intervento pubblico in economia, una politica estera filo-atlantica e filo-americana. Chi ha a cuore tutto questo, non guarda più al popolarismo europeo come alla stella polare della propria politica ma spera in una coraggiosa svolta conservatrice e riformista, che corra nel solco tracciato all’europarlamento da David Cameron e Mirek Topolanek. Guardata da questa prospettiva, una nuova alleanza con l’Unione di Centro e che con portatori di interessi molto diversi rispetto a quelli di una destra moderna sarebbe, per quei pochi che nel fusionismo “a destra” ci hanno creduto, un vero suicidio politico. Magari, domani, ci ritroveremo con qualche assessore regionale in più ma, statene certi, con una prospettiva politica in meno. Rivoluzione liberale, federalismo responsabile, taglio della spesa pubblica, abbassamento delle tasse ritorneranno ad essere, con buona pace di tutti, argomenti buoni soltanto per qualche editoriale da prima pagina o per qualche discussione da salotto buono.