Virginia e New Jersey al voto dopo lo shutdown
(da “Il Foglio” del 22 ottobre)
«Il clima politico per noi è tossico». Così, senza troppi giri di parole, Cory Stewart -capo del partito repubblicano nella contea di Prince William, in Virginia – spiega lo svantaggio accumulato nei sondaggi per la corsa a governatore dal candidato del GOP, Ken Cuccinelli. La Virginia, insieme al New Jersey, sceglierà il proprio governatore il prossimo 5 novembre, in una classica accoppiata di elezionioff-yearche, da sempre, vengono considerate come una sorta di prova generale del voto di mezzo termine. Quest’anno, però, più che come indicatori per il futuro, le elezioni in Virginia e New Jersey saranno interpretate come un referendum – anche se parziale -sul furibondo scontro che si è appena consumato a Washington sullo shutdown. E, visti i sondaggi nazionali che circolano sull’argomento, è naturale che i più preoccupati siano proprio i repubblicani.
Per settimane, ogni giorno, i dati pubblicati da qualche istituto di ricerca hanno spinto i giornali a mettere in pagina un titolo del tipo “Sullo shutdown gli americani danno la colpa ai repubblicani”. Cambiate l’ordine delle parole, ma il ritornello è sempre lo stesso. Prendiamo, per comodità, l’ultimo di questa serie impressionante di sondaggi-fotocopia, quello realizzato congiuntamente da ABC e Washington Post. Il quadro che emerge, per la verità, non è desolante solo per i repubblicani. Ma mentre il “gradimento” dell’operato di Obama nel negoziato sul budget federale è al di sotto della linea di galleggiamento del 50% (42% di opinioni positive conto 53% di opinioni negative) e quello del Partito democratico è pessimo (33%-61%), il giudizio sul Partito repubblicano è addirittura atroce: con appena il 21% di opinioni positive e un rumorosissimo 74% di giudizi negativi. Se Sparta piange, insomma, Atene sembra ormai sull’orlo del suicidio.
Ma alle elezioni dimid-termmanca più di un anno. E molto difficilmente le polemiche sulloshutdownsopravviveranno così a lungo, a meno di una triste replica di questo teatrino tra dodici mesi. Così, alla fine, gli unici direttamente coinvolti da questo avvelenamento del clima politico saranno proprio i candidati alla poltrona di governatore in Virginia e New Jersey. L’altro voto significativo del primo martedì novembre, infatti, quello per eleggere il successore di Michael Bloomberg a sindaco di New York, sembra avviarsi verso un massacro annunciato del candidato repubblicano, Joe Lotha, che nei sondaggi insegue il democratico Bill de Blasio con una quarantina di punti percentuali di svantaggio. Il digiuno dei democratici di NYC, che non riescono ad eleggere un sindaco dal 1989, sarà con ogni probabilità interrotto da una scorpacciata luculliana.
Restano Virginia e New Jersey, dunque, che nel 2009 furono il primo segnale della rivolta anti-statalista (e anti-obamaniana) che portò allo tsunami elettorale di un anno dopo, con la più larga affermazione repubblicana dal 1928 e una strage diincumbentche i Democratici non dimenticheranno tanto facilmente. Ma andiamo con ordine.
Nel Commonwealth della Virginia, l’unico stato dell’Unione in cui il governatore non può essere eletto per due mandati consecutivi, quattro anni fa il repubblicano Bob McDonnell sconfisse il democratico Creigh Deeds con più di 300mila voti e 17 punti percentuali di distacco (58,6% contro 41,2%). Un risultato incredibile, vista l’affermazione di Barack Obama nel 2008 (+6%), che trascinò alla vittoria anche i candidati del GOP alle cariche diliutenant governor, Bill Bolling, e diattorney general, Ken Cuccinelli.
Proprio Bolling e Cuccinelli sono stati i protagonisti della faida che ha lacerato il Partito repubblicano alla vigilia di questa tornata elettorale. Appoggiato dai militanti del partito (che ormai sono quasi perfettamente sovrapponibili agli attivisti del Tea Party), Cuccinelli ha forzato la mano per evitare le primarie – a cui Bolling avrebbe partecipato – e si è fatto nominare per acclamazione da unaconventionche, a maggio, ha visto anche emergere a sorpresa E.W. Jackson come candidato alla carica di vice-governatore. La mossa di annullare le primarie, decisa a maggioranza dalloState Central Committeedel GOP tra mille polemiche, ha fatto infuriare Bolling (che nel 2009 aveva stretto un “patto di non belligeranza” con McDonnell proprio in vista del 2013) e spaccato il partito. Tanto che a lungo è circolata l’ipotesi che Bolling potesse comunque presentarsi alle elezioni come indipendente. Alla fine il vice di McDonnell, non prima di aver definito l’annullamento delle primarie «ingiusto e senza precedenti», ha rinunciato a correre. Ma il partito è rimasto profondamente diviso.
Anche sulla sponda democratica Terry McAuliffe,chairmandelDemocratic National Committeedal 2001 al 2005 e noto ai più per essere una delle punte di diamante delfundraisingclintoniano, è riuscito ad evitare lo scontro alle primarie democratiche, che lo avevano visto sconfitto (nettamente) da Creigh Deeds nel 2009. Ma soltanto perché nessuno, stavolta, ha deciso di contrastarlo. McAuliffe – banchiere, costruttore di case, possessore di alberghi e spregiudicatoventure capitalist- è un candidato con una lunga, e a volte ambigua, frequentazione con il denaro. E si è ritrovato recentemente coinvolto in una frode assicurativa milionaria in Rhode Island che avrebbe ucciso (politicamente) un cavallo. Soprattutto in uno stato come la Virginia, in cui appena qualche mese fa McDonnell ha rischiato l’impeachmentper un Rolex d’oro ricevuto in regalo.
Ma i clintoniani, è cosa nota, hanno la pelle dura. Così, non soltanto McAuliffe è riuscito a far scivolare in secondo piano il suo discutibile passato, ma in campagna elettorale ha speso una vagonata di denaro (il suofundraisingè stato quasi il doppio di quello dell’avversario) per dipingere Cuccinelli come un fondamentalista invasato che aspettava solo di arrivare a Richmond per controllare la vita sessuale dei cittadini. E, molto semplicemente, è riuscito a centrare il suo obiettivo.
Cuccinelli – un conservatore “middle of the road”come se ne trovano a milioni, soprattutto a sud della linea Mason-Dixon – è oggi, agli occhi della maggioranza degli abitanti della Virginia (l’operazione di McAuliffe è riuscita particolarmente bene con l’elettorato femminile), un pericolosofreakanti-abortista amico del Tea Party e nemico delle donne. Grazie anche al consenso raccolto dal candidatolibertarianRobert Sarvis, il buon Ken è passato da un leggero vantaggio nei sondaggi realizzati prima dell’estate a un deficit quasi impossibile da colmare. Nella media calcolata da Real Clear Politics, McAuliffe è ormai stabilmente intorno al 47%, mentre Cuccinelli, che il 46% degli elettori considera «troppo conservatore», non supera il 40%. Sarvis chiude appena al di sotto del 10%, che secondo gli standard della Virginia sarebbe un record sensazionale per il candidato di un “terzo partito”. A meno di qualche clamorosa notizia giudiziaria dal Rhode Island – o di un’affluenza alle urne particolarmente scarsa belle contee del nord (i sobborghi di Washington D.C.) -McAuliffe sarà il prossimo governatore dell’Old Dominion. La buona notizia è che potrà esserlo soltanto per quattro anni.
Perduta New York e quasi perduta la Virginia, ai repubblicani – contro ogni logica apparente – resta soltanto il New Jersey. Uno stato che Obama, appena un anno fa, si è aggiudicato con 17 punti percentuali di vantaggio su Mitt Romney e che il GOP, alle presidenziali, non riesce a conquistare dal 1988. Nel 2009 il miracolo riuscì grazie a Chris Christie. E, vista la storia recente del Garden State -distacco molto ridotto tra i due partiti durante tutta la campagna elettorale elandslidedemocratico nel giorno del voto – in molti pensavano che l’impresa sarebbe rimasta un caso isolato. Eppure, nella media dei sondaggi di RCP, alla vigilia del voto Christie (59,4%) ha quasi trenta punti di vantaggio sulla sfidante democratica Barbara Buono (31,6%).
Con questo distacco abissale, però, i repubblicani hanno poco a che fare. Prima del 2012, Christie era uno degli astri nascenti del partito, adorato dalla base e in ottima posizione per assicurarsi un ruolo di primo piano nellashortlistdegli aspiranti candidati alla presidenza (o almeno alla vicepresidenza). Il suo stile aggressivo nei dibattiti, le sue prese di posizione politicamente scorrette, perfino i suoi 170 chili di peso, contribuivano a formare l’icona del “repubblicano che aveva conquistato il New Jersey”. Oggi, nella migliore delle ipotesi, l’ingombrante governatore è considerato dagli attivisti del GOP come il capofila dei”rino” (republicans in name only),ma molti pensano a lui come a una marionetta di Obama che fa affari con i democratici.
Causa scatenante di questo cambiamento d’umore della base repubblicana sono stati gli ultimi giorni dell’ottobre 2012, proprio alla vigilia delle ultime elezioni presidenziali, quando Christie accompagnò Obama a visitare le zona del New Jersey più colpite dall’uragano Sandy. La Casa Bianca intuì immediatamente la possibilità di trasformare questa occasione in una fenomenale operazione di propaganda elettorale, mentre Romney balbettava disorientato. Così, mentre Obama trovò lo spunto decisivo per battere il suo avversario da lì a qualche giorno, per i repubblicani Christie – insieme a quelle foto in posa in cui era avvinghiato al presidente sulle macerie della Jersey Shore (e che poteva, francamente, risparmiarsi) – diventò il simbolo della sconfitta e del tradimento.
Oggi, grazie anche a quegli abbracci in diretta tv, Christie vola verso una facile rielezione. E i donatori democratici, che in condizioni normali avrebbero ricoperto la Buono di dollari, non hanno neppure provato ad insidiare il governatore. Malgrado le sue posizioni politiche, in realtà, non siano poi così distanti da quelle del “fanatico” Cuccinelli su aborto, matrimonio gay, scuola pubblica ecap and trade.
Riepiloghiamo. Un candidato conservatore, ma percepito come un pericoloso pasdaran, è destinato a perdere in unoswing statedel sudin cui i repubblicani controllano 66 seggi (su 100) della Camera locale. Un altro candidato conservatore, ma percepito come un moderato, è destinato a stravincere in uno stato tradizionalmente progressista, in cui i democratici controllano una delle più efficienti macchine per la raccolta di voti e finanziamenti di tutta la nazione. Così vanno le cose, in un bipartitismo afflitto da una polarizzazione più apparente che sostanziale come quello statunitense. Ma è l’apparenza, scriveva Schiller, a dominare il mondo. Non viceversa.