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Cameronlandia

I media tradizionali vi hanno raccontato di Tony Blair che si dimette e di Gordon Brown che gli succede. E hanno parlato di Reid (tre settimane dopo di noi) e di ipotesi impossibili come Beckett e Johnson. La realtà, malcelata dai blairisti di casa nostra, è che ormai la festa è finita. Prova ne è il sondaggio di oggi del Telegraph. Cameron guadagna ancora due punti e il Labour Party non si schioda da dov’era, nonostante analisti e spin doctors preannunciassero un ritorno di fiamma dell’elettorato dopo l’annuncio di Blair. A fallire non è stato l’inquilino di Downing Street. A fallire sono state le politiche di aumento della spesa pubblica, con l’illusione di poterle governare e renderne virtuose le dinamiche. Il Labour di questi anni ha avuto un grande leader ma è restato, sostanzialmente, un partito socialista e statalista. Così come non è colpa sua il fallimento, non è totalmente da ascrivere ai meriti di Blair la vittoria alle ultime tre tornate politiche. C’è stato a destra un vuoto sostanziale, di uomini e di idee, che non ha permesso mai ai Tories di risultare credibili. Ora che con David Cameron hanno recuperato il gap (di contenuti e di organizzazione) sono accreditati del 40% dei consensi. Ma c’è di più: nonostante li dipingano come divisi, rissosi e tutto ciò che si può dire, il loro leader ha un gradimento interno del 75%. Sulla riva sinistra del fiume,invece, il leader in pectore del labour party se la passa male: solo il 20% pensa possa fare meglio di Blair, solo il 30% pensa possa essere un buon primo ministro e più della metà dei suoi militanti pensa che il partito sia nettamente diviso. P.S: nella foto David Cameron visita la nuova casa. Downing Street, numero 10.

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