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Prodi non sa di cosa parla

Prodi non sa di cosa parla. Quando cita la legge Biagi lo fa a sproposito e dice cose senza senso. Quest’uomo fa paura,per come crede di governare il paese. A domanda risponde con bofonchiamenti,tentennamenti, proposte senza costrutto. La domanda arriva diretta quando vengono al pettine i nodi della possibile coalizione dell’Unione di centrosinistra. Vespa dice: legge Biagi, nucleare, PACS. Allora Prodi si dilunga sulla legge Biagi perchè,da economista, pensa di saperne un sacco. Spara essenzialmente tre fesserie: 1- Cita l’OCSE a sproposito dicendo che l’OCSE avrebbe bocciato la riforma. Non è vero. Il rapporto OCSE fotografa la situazione e dice che,ancora, la situazione non è positiva. Bisogna fare di più sul lato della flessibilità, dell’occupabilità e dell’imprenditorialità. Proprio i pilastri su cui si fonda l’Agenda di Lisbona e la Legge Biagi. Ma il rapporto OCSE parla anche di decentramento contrattuale, quello che questo governo ha iniziato con coraggio e che la sinistra,imbeccata dai sindacati, ha osteggiato. A mettere tristezza al prof. Prodi arriva anche il parere del fondo monetario europeo. Le riforme fatte funzionano e la finanziaria 2006 va bene. 2- Dice che il Pacchetto Treu lo ha voluto lui. Bene,bravo. Peccato che sia stato proprio quel pacchetto a introdurre riforme disorganiche che sono culminate con l’obbrobrio dei co.co.co. 3- Non spiega come superare la Legge Biagi. Si concentra sul cuneo fiscale e parla di “disincentivare economicamente” la presunta precarietà. Come? Non si può dire. Prodi non ha letto la legge Biagi, mai. Se lo avesse fatto e se avesse,non dico chiare, ma almeno abbozzate le tematiche del giuslavorismo italiano saprebbe che puoi incentivare economicamente due modelli contrattuali che prendono vita dalla medesima causa. Mi spiego. Co.co.co e lavoro dipendente non avevano differenziazioni sostanziali, se non nel nome. Si diceva: in un caso si tratta di collaborazione, nell’altro di subordinazione. Capitò allora che gli imprenditori assumevano lavoratori-collaboratori e non più lavoratori-subordinati. Far costare di più il modello della collaborazione significa disincentivarne l’adozione. Altro esempio: i Contratti di Formazione Lavoro (CFL) non avevano limiti strettissimi (se si eccettua l’età dell’assunto e la durata triennale). Capitava allora che il loro essere economicamente più vantaggiosi facesse si che molti imprenditori assumessero lavoratori subordinati sotto forma di CFL, mortificando il contenuto formativo del contratto e dando vita ad un rapporto datore-lavoratore che si esplicava nei termini classici. La situazione è cambiata. Per quanto riguarda la collaborazione, non basta che manchi il vincolo nominale della subordinazione; ma serve un “progetto” a giustificare il contratto. I contratti formativi, sono diventati ora “contratti di inserimento” con caratteristiche molto più rigide dei precedenti modelli (apprendistato e CFL). Come si fa ad incentivare economicamente un modello invece che un altro quando a cambiare sono le cause? Questo il Professor Prodi dovrebbe spiegare al paese, altrimenti ci tocca pensare che non sappia di cosa si stia parlando. E per un candidato premier, è francamente triste.

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