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The working revolution

E’ toccato Phillip Hammond, responsabile per le politiche del lavoro dei Tories, spiegare la vision conservatrice sul delicato argomento dell’occupazione. Un tema che è ritornato al centro del dibattito politico dopo la scoperta del dato reale sulla disoccupazione nell’Isola. Un dato non soltanto molto distante da quello propinatoci dal governo Blair ma assolutamente imbarazzante per una nazione con una solida economia come quella inglese. Cinque milioni e trecentomila cittadini “unemployed” sono,infatti, il triplo di quanto Blair dichiarasse solo pochi mesi fa e rappresentano il “requiem” definitivo per il tanto osannato “welfare to work” laburista. Hammond chiarisce subito che

Flexible working practice is a key element in the delivery of economic competitiveness, social justice, affordability in public service delivery and an improvement in General Well Being

e prosegue ricordando che è l’accessibilità al lavoro che va migliorata, non la permanenza in una determinata posizione. Sono le stesse parole d’ordine che hanno ispirato la Legge Biagi e i successivi decreti di attuazione. Fa specie notare come l’obbiettivo del professor Biagi fosse quello di creare uno “Statuto dei Lavori” in luogo di uno “Statuto dei Lavoratori”. Con la stessa metodologia, ToryDiary titola il post sull’intervista ad Hammond “The working (not workers’) revolution“. La conferma,ulteriore, che l’impianto della Legge Biagi è valido e necessario per le sfide che ci richiede la modernità.   P.s: Tutto questo mentre alcuni zelanti operatori del diritto (meglio noti come Ispettori del Lavoro) si permettono di dare un’interpretazione della legge scavalcando il volere del Parlamento (a differenza loro,eletto dal popolo)e rischiando di far delocalizzare (ma chiamiamole pure col loro nome: delocalizzazioni forzate) decine di aziende e centinaia di opportunità lavorative. Per i call center friulani si parla già di Romania. Auguri, Italia.

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