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Il conservatorismo britannico e la “terza via” di David Cameron
Ecco come il giovane tory intende battere Blair Fare il leader di un partito che sta all’opposizione da dodici anni non è facile. Lo è ancor di meno se il Capo del governo a cui ti opponi si chiama Tony Blair e ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare politica dell’intera Europa. A David Cameron, giovanissimo leader dei conservatori britannici, l’impresa dev’essere sembrata esaltante. Da quando, dieci mesi fa, ha preso le redini dei Tories è stato un rossiniano crescendo di colpi di scena: non si è accontentato di sfidare il successore di Blair, ha voluto fare di più. Ha sfidato lo stesso Tony Blair. Look giovane, attenzione ai temi da sempre trascurati dalla destra d’oltremanica (Ambiente, Sanità, Welfare State) e il fare spavaldo di chi sa di poter battere il leader laburista sul suo terreno. Il primo obiettivo era vincere le elezioni locali e ci è riuscito. Il secondo “step” era il più difficile: convincere l’intero partito a modernizzarsi, a svecchiarsi e a conquistare una Nazione ormai così innamorata del suo premier da rieleggerlo per un terzo mandato a Downing Street. Quello che si è aperto domenica a Bournemouth è, con tutta evidenza, uno dei congressi più difficili che un leader conservatore abbia mai dovuto affrontare. Ma, come detto, a questo giovane conservatore dai modi gentili piacciono le sfide complicate. E così il suo discorso ai delegati del partito è stato un successo totale. Ha iniziato facendo autocritica, ammettendo di aver commesso errori e di essere pronto ad ascoltare tutti, dall’eterno rivale David Davies, al suo alter ego americano presente in platea, John Mc Cain. Perché guai a pensare di fare tutto da soli, guai a pensare di poter governare il partito e la Nazione come Blair e Gordon Brown hanno governato il Labour: pensando solo allo stile e non alla sostanza. “Quanto tempo hanno perso a valorizzare sé stessi e quanto a lavorare per il bene del popolo inglese?”, questa la domanda che riecheggia tra gli spalti gremiti del “Bournemouth International Center”. E’ una rivoluzione, quella che chiede ai suoi e al popolo britannico, una rivoluzione silenziosa ma importante: riportare l’individuo e l’interesse nazionale al centro, dopo nove lunghissimi anni in cui il mondo ha ammirato Tony Blair, ma non ha visto migliorare né l’Inghilterra né il tenore di vita dei suoi cittadini. Cameron sa che questo partito si aspetta moltissimo da lui e che difficilmente un fallimento sarebbe tollerato, proprio per questo non può fermarsi a criticare il passato ma deve (e vuole) progettare il futuro. Un futuro che immagina come una “casa da costruire, tutti insieme, su tre livelli: il terreno, le fondamenta e poi, mattone dopo mattone, la casa”. Terreno e fondamenta che vanno ricercati nell’unità del partito attorno ai temi tradizionali: importanza dell’individuo, sostegno alle famiglie, responsabilità. Ma questa volta c’è di più. Il new deal di David Cameron parte proprio dalla riscoperta di temi che furono cari, a suo tempo, a Margareth Thatcher: un ecologismo non ideologico e una riforma strutturale dello stato sociale; con meno stato e più individuo. In poche parole: la nuova frontiera del Conservatorismo Compassionevole. La conclusione del suo discorso ha reminescenza kennediane: “ci vuole meno arrogante fiducia dei politici in sé stessi e più fiducia in ciò che tutti possono fare per il proprio Paese”. Il popolo conservatore ha applaudito, calorosamente, e l’impressione è stata quella di un partito che, tra mille travagli, ha finalmente trovato un leader vero. Un leader che ha indicato una terza via stimolante e avvincente: conservatore nei valori, liberale nei contenuti, moderno nei metodi. L’opinione