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Destination Downing Street

  Ha convinto, e non poco. A modo suo: senza niente di scritto, apparendo assolutamente naturale. Vincendo e convincendo. Non era facile e non lo è stato, tuttavia David Cameron ha vinto la sfida più difficile, quella della leadership. Dopo aver conquistato la poltrona numero 1 del Partito Conservatore la sua popolarità era cresciuta, raggiungendo il culmine alla convention Conservative di Bournemouth. Poi, qualcosa si è rotto: poco ortodosso per il suo partito, considerato un Blair in ritardo di dieci anni sull’originale e alcune polemiche mediatiche mal gestite gli hanno portato in dote cinque mesi di sondaggi negativi che avevano fatto tremare i polsi all’headquarter conservatore. Come se non bastasse è arrivato l’atteso cambio al vertice del Governo di Sua Maestà: l’uscita di Blair, l’avvento di Gordon Brown e una nuova, repentina, accelerazione Labour nei sondaggi che sembrava archiviare definitivamente ogni speranza di vedere il giovane Dave insediarsi al numero 10 più famoso del mondo. Ma questa è la campagna elettorale europea più bella degli ultimi dieci anni e proprio mentre Gordon Brown sembrava convinto a chiamare un’elezione anticipata per far fruttare al meglio il suo rinnovato consenso, eccola lì la convention di Blackpool che spariglia tutto. Cameron, come immaginate, è arrivato a Blackpool con una spada di Damocle che gli pendeva sulla testa: nessuno gli perdonerebbe una sconfitta alle prossime elezioni politiche e i sondaggi in continuo calo iniziavano a far serpeggiare più di qualche dubbio tra i maggiorenti del partito. Ci si aspettava un David dimesso e di nuovo all’angolo, pronto ad ammettere eventuali errori e tutto teso a ripristinare il feeling con l’ortodossia conservatrice. Nella speranza di veder tramontare la pazza idea di un’elezione autunnale. Ma siamo nel campo del puro “wishful thinking”, che mal si attaglia a questo giovane etoniano che ha deciso di giocare la sua partita fino in fondo. E’ abituato a sorprendere, e così ha fatto. Senza un discorso scritto, tutto a braccio, ha incantato una platea di conservatori che, nella migliore delle ipotesi, non gli erano contrari ma che, questo è certo, lo aspettavano al varco, non troppo convinti del fatto che fosse pronto per guidare un grande paese. Ha rilanciato e ridato speranza a un movimento che sembrava abbattersi ad ogni difficoltà. Ha elogiato Margareth Thatcher, in apertura, per togliere ogni residua arma ai critici, definendola l’ispiratrice della lunga marcia verso la libertà e ricordando di essere orgoglioso di questo partito, dei suoi valori, delle sue ambizioni. Poi ha parlato della famiglia come del miglior sistema di welfare possibile, ha criticato questi anni di new Labour e ha rilanciato come fosse un primo ministro in pectore. Ha parlato di cose da fare, per l’Inghilterra e per il Partito, e non ha avuto mai la minima esitazione. Da ultimo non si è sottratto alla domanda,cruciale, che tutti si ponevano: si o no ad elezioni anticipate? E non si è sottratto a modo suo: indietro nei sondaggi tra gli 8 e i 13 punti ha scelto di attaccare. E a chiesto a Gordon Brown di sfidare il Partito Conservatore andando a votare e sottoponendosi al giudizio popolare su questi dieci anni di promesse mancate. Certo di avere un grande partito alle spalle. Grande soprattutto perchè guidato da un grande leader.

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