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Un gigante

Oggi è il giorno di Tony Blair davanti alla commissione di inchiesta sull’Iraq. Non è un giorno facile per l’ex premier britannico: occhi puntati addosso, un paese che sembra accusarlo di aver mentito, una guerra che appare improvvisamente sbagliata. Poco male. Tony Blair va davanti alla commissione e sfodera il carisma di sempre. A chi se lo aspettava timido e sulla difensiva dimostra come reagisce uno statista di fronte alle difficoltà: si assume le responsabilità, non fa passi indietro, non rinnega il senso ultimo di quella guerra. Quando gli obbiettano che Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa e non intratteneva rapporti con Al Qaeda, risponde sereno che la storia di Saddam, l’uso delle armi chimiche, i milioni di morti, i dieci anni di soprusi e le risoluzioni Onu violate erano motivi più che sufficienti per giustificare l’intervento. Tutti si aspettavano una presa di distanza dall’amico George W Bush e dall’idea della guerra preventiva. Invece no, anche qui, una spanna sopra tutti: “Dopo l’11 settembre – ha spiegato – se tu eri un regime che aveva a che fare con le armi di sterminio dovevamo fermarti e questa era l’idea della Gran Bretagna, non degli Usa”. Quasi a rivendicare una primazia democratica sugli Stati Uniti, perchè il sostegno della democrazia e della libertà nel mondo non è cosa di cui vergognarsi. Un gigante, Tony Blair. Perchè al di là delle divergenze politiche spicciole che dividono destra e sinistra, conservatori e laburisti, ha dimostrato una volta ancora che c’è qualcosa di indossolubile che lega l’America alla Gran Bretagna. Qualcosa più forte dell’attualità politica, dei governi che cambiano, delle tattiche e delle opportunità. Qualcosa per cui vale la pena anche rinunciare ad un po’ di consenso. Qualcosa per cui sfidare con fierezza una commissione d’inchiesta su una guerra giusta.

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