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Mio fratello era juventino

Anno del Signore 1999, stagione calcistica 98-99. L’anno prima, l’Udinese è finita terza in campionato e Mister Zaccheroni ha appena salutato tutti, destinazione navigli, sponda rossonera. Con lui partono anche Oliver Bierhoff e Thomas Helveg. Sulla panchina friulana si accomoda Francesco Guidolin, da Castelfranco Veneto. Nuovi arrivi non granché, tranne l’attesa per Roberto Carlos Sosa, detto “El Pampa”. Millanta goals nel campionato di clausura argentino e fama da punta purissima che vede la porta anche girato di spalle. Arriva e si capisce subito che non è quello che ci avevano raccontato: brutto da vedere, anche se utilissimo, e poco adatto al gioco veloce di San Francesco. Diventerà la vera ragione della separazione tra Guidolin e Pozzo, ma questa è un’altra storia. Stagione 98-99, dicevamo. Si inizia con Udinese – Sampdoria. Di qua Guidolin, di là Spalletti, che un giorno passerà da queste parti a insegnare futbòl. Si capisce subito che annata sarà. Il Guido vara il trimobile: tre punte veloci e movimento a tergicristallo. Tra uno Zoncolan e l’altro prende forma un Udinese spumeggiante e brasilera, con Marcio Amoroso leader indiscusso di un gruppo giovane e simpatico. Il 2-0 alla Salernitana rimane per chi scrive l’esempio migliore del calcio migliore. Una squadra che pareva giocare a memoria e salire con costanza, come un Armstrong sul Tourmalet. Poi alti (molti) e bassi (uno in particolare, la sconfitta interna col Perugia), fino all’epilogo di Torino: spareggio Uefa con la Juve. Vinciamo noi, gol di Paolino Poggi da Venezia e telecronaca di quel genio di Lorenzo Petiziol.  In quei novanta minuti mio fratello si converte: butta la maglia di Del Piero e prende quella di Marcio dos Santos Amoroso. San Francesco ha fatto il miracolo. Provaci ancora, Guido.

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