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Bentornato GOP
L’aereo che mi riporta a Venezia è un Alitalia semivuoto e con signori incravattati che salgono al nord da Roma, probabilmente per affari importanti. Tra loro ci sto anche io: zero minuti di sonno e zero voglia di andare in ufficio, ma per le elezioni americane si fa anche questo.
Scendo la scaletta, imbocco il corridoio verso il ritiro bagagli e davanti a me si staglia la sagoma di un militare americano, uno di quelli che probabilmente stanno ad Aviano e quasi certamente sta lì non per salutare me ma per recuperare un qualche collega in arrivo col mio volo. Guardo la Stars and Stripes cucita sulla divisa e mi casa l’occhio sul nome: Kirk. Non un cognome qualunque, oggi. E’ anche grazie a Kirk, Mark Steven Kirk, se oggi i Repubblicani possono festeggiare la più grande resurrezione dai tempi di Lazzaro (e di Nixon). Ed è grazie soprattutto a lui se oggi il Gop strappa ai rivali democratici il seggio che fu di Obama e mette a segno uno di quei gol fuori casa che poi valgono doppio.
Serata eccezionale, quella di ieri. A metà tra uno tsunami e un uragano di colore rosso che arriva e travolge il fatato mondo obamiano come se niente fosse successo nel novembre del 2008. Sembrano secoli ma solo due anni fa stavamo qui ad interrogarci se ancora sarebbe esistito un centrodestra in America. Oggi stiamo qui a chiederci come far diventare tutto oro quel che luccica, trasformando in rossi anche quegli stati dove il colpaccio non è riuscito: Nevada, California ma, soprattutto, Colorado. Miracolo di una politica che non sta mai ferma un attimo e che si agita all’ombra di Capitol Hill come se ogni volta toccasse a tutti ripartire da zero. Anche a uno come Barack Obama, considerato invincibile solo 24 mesi fa e oggi ridimensionato come un Carter qualsiasi. Bentornato Grand Old Party.