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Long Road Ahead
Qualche breve considerazione sulle primarie repubblicane di ieri in Michigan e Arizona. Mitt Romney ha vinto in entrambi gli stati, ma con margini molto differenti nei confronti di Rick Santorum: una ventina di punti in Arizona (47,3% contro 26,2%); appena tre in Michigan (41,1% contro 37,9%), che pure suo padre George ha governato dal 1963 al 1969. Due risultati molto diversi, insomma, che solo parzialmente possono essere spiegati dalle rispettive performance di Newt Gingrich (16,2% in Arizona; 6,5% in Michigan) e Ron Paul (8,4% in Arizona; 11,6% in Michigan). Come molto diversi sono gli “spin” che iniziano a circolare dopo il voto. La narrativa del campo anti-Romney è chiara: l’ex governatore del Massachussetts ha rischiato di perdere nel suo “quasi home state“, le sue debolezze sono ormai sotto gli occhi di tutti, l’establishment del partito deve ripensare il suo appoggio incondizionato a Mitt, possibilmente prima del Super Tuesday. Dalle parti di Romney, l’interpretazione dei fatti è parimenti netta, anche se completamente opposta: non importa se la maggioranza dell’elettorato repubblicano continua a respingere il nostro candidato, l’unica cosa che conta è che Mitt – anche ieri – ha fatto un piccolo passo in avanti verso la conquista della nomination.
Come la pensiamo noi è noto (e in ogni caso non ha alcuna rilevanza), ma resta il fatto che la situazione, alla vigilia del Super Tuesday, è ancora estremamente fluida. Tanto che è sufficiente una piccola interferenza esterna per mettere in crisi tutto il meccanismo. Per il momento, secondo il calcolo dei delegati di CNN, i numeri danno ragione a Romney. Dei 246 “pledged delegates” assegnati fino ad oggi, Mitt ne controlla il 57,7%, ma si tratta appena di un decimo di quelli che gli servono per conquistare la maggioranza alla convention di Tampa. La strada, insomma, rischia di essere ancora lunga e accidentata. E stavolta neppure il “super martedì” (meno affollato del solito per una precisa scelta del partito) potrebbe essere in grado di mettere la parola “fine” alla contesa. Peccato, perché forse sarebbe arrivato il momento di lasciarsi alle spalle una guerra intestina ormai senza esclusione di colpi (e con gli interpreti anti-Romney in campo a rotazione) per concentrarsi sulla vera posta in gioco.