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Being Andrew
Per molto (troppo) tempo non si è compresa l’importanza, quasi storica, del ruolo ricoperto da Andrew Breitbart nella tumultuosa galassia di persone e idee che tratteggiano i confini della destra americana. Almeno fino alla sua prematura morte, arrivata all’improvviso, a soli 43 anni, lo scorso marzo. Figlio adottivo di una coppia californiana, cresciuto in un sobborgo upscale di Los Angeles e simpatizzante liberal fino agli anni dell’università, Andrew Breitbart nel 1991 conosce l'”epifania” che lo spinge sulla riva destra della politica a stelle e strisce. Sono i giorni del controverso processo per la conferma della nomina di Clarence Thomas alla Corte Suprema. Ascoltando le lezioni di quelli che chiama «i miei professori della radio AM», Rush Limbaugh in testa, Breitbart inizia a rivedere la propria filosofia politica. Scoprendosi improvvisamente pronto per rigettare «le meditazioni nichiliste» che hanno caratterizzato i suoi studi universitari. In quegli stessi anni legge “SexualPersonae”, un poderoso saggio di Camille Paglia che analizza arte, letteratura e cultura dall’antico Egitto fino ad oggi, che lo aiuta a comprendere la «grande truffa» del dominio liberal sul mondo della cultura e dell’informazione in America.
Nel 1995, rimane così impressionato dal successo del “Drudge Report” – il sito politico-scandalistico che avrebbe poi scatenato l’affare Clinton-Lewinsky – da scrivere una email proprio a Matt Drudge. È così che diventa la «Matt’sbitch», il tuttofare che si occupa di selezionare i link da pubblicare nella home page del sito. Proprio Drudge lo presenta ad Arianna Huffington (al tempo ancora repubblicana), che sta per lanciare il suo “Huffington Post”. Dopo l’esperienza il Post, che intanto ha seguito le orme della sua fondatrice e si è spinto all’estrema sinistra dello spettro politico statunitense, Breitbart decide di mettersi per conto suo. E lancia “Breitbart.com”, una sorta di Drudge Report con qualche commento in più e una caratterizzazione politica (di destra) molto più spiccata. Breitbart.com colma un vuoto evidente nell’informazione digitale americana e riesce ad ottenere risultati straordinari. Nel 2007 Andrew lancia anche “Breitbart.tv” (un videoblog) e, in rapida successione, “Big Hollywood” (una sorta di edizione online della sua fortunata rubrica ospitata dal Washington Times), che per la prima volta spazza via il velo di ipocrisia che avvolge il dorato mondo dei cineasti hollywoodiani, dando voce a professionisti dell’industria dell’intrattenimento fino ad allora costretti a nascondere le proprie simpatie repubblicane o conservatrici. Nel 2009 “Big Hollywood” fa scalpore con lo scoop di una registrazione segreta: una riunione del National Endowment of the Arts in cui si incoraggiano apertamente gli artisti a creare lavori in grado di sostenere l’agenda politica di Barack Obama.
Il 10 settembre 2009 nasce “BigGovernment.com”, affidato a un ex diReason, Mike Flynn, che si mette subito in evidenza con lo scandalo del celebre video di James O’Kefee che mostra i consulenti della Acorn intenti a dar consigli per evadere il fisco a un finto protettore che vuol far fruttare al meglio il suo giro di prostituzione minorile. La video-inchiesta costa all’Association of Community Organizations for Reform Now le decine di milioni di dollari che il Congresso, fino ad allora, aveva gentilmente concesso all’associazione filo-democratica. Nel gennaio 2010 nasce “Big Journalism”. «Il nostro scopo – dichiara Breitbart in un’intervista – è quello di far bruciare la terra sotto i piedi dei mainstream media. Ci sono migliaia di notizie che semplicemente non hanno copertura, perché si adattano male alla visione del mondoliberal». Il 4 luglio del 2010 Breitbart lancia “BigPeace.com”, che si occupa di politica estera e questioni internazionali, a partire dalla guerra al terrorismo. Ma è nel maggio del 2011 che Andrew torna prepotentemente sulla bocca di tutti, combattendo praticamente da solo – nell’indifferenza generale dei media tradizionali – una battaglia per scoprire la verità nello scandalo che coinvolge Anthony Weiner, il deputato democratico di New York (in prima fila per diventare sindaco) che manda fotografie delle proprie parti intime via Twittera ragazze minorenni. Breitbart vince, in perfetta solitudine, anche questa battaglia. E Weiner è costretto a dimettersi. A tradirlo, qualche mese più tardi, sarà invece proprio il suo grande, inarrivabile, cuore.
Eppure la storia non finisce. L’eredità di Breitbart assume pieghe inaspettate. I suoi siti continuano a macinare visitatori e a dettare l’agenda del dibattito politico. Ma l’effetto più eclatante ha un incredibile lato umano e mostra quanto profondo sia stato l’impatto del suo lavoro. Nei giorni immediatamente seguenti la sua morte, Hollywood viene investita da uno strano fenomeno: un outing politico compulsivo di personaggi che fino a quel momento erano rimasti nascosti nell’ombra. Tutto inizia con tweet lanciato in rete.«I wroteSpartacus and #IAmAndrewBreitbart».«Ho scritto Spartacus e Sono Andrew Breitbart». Chi scrive è un pluripremiato sceneggiatore di Hollywood che ha deciso di uscire allo scoperto e far sapere al mondo la verità: vive nel cuore dello star system ma è un conservatore. L’insospettabile si chiama Daniel Knauf, scrive e produce per la televisione, è autore di serie di culto come Spartacus. Ma anche di Carnivàle, che gli ha fruttato l’Emmy Award come miglior serie. Ha collaborato a moltissimi show di grande successo come Supernatural, Fear Itself, My Own Worst Enemy. Ora sta lavorando ad un progetto per Will Smith.
Daniel Knauf, come molti colleghi, ha un account twitter. Lo usa spesso ma scrive di solito di cinema, musica, cultura pop. Mai una parola sulla politica. Fino ad allora. Nessuno ha mai nemmeno sospettato che Daniel non fosse totalmente integrato nel pensiero unico della Hollywood sinistrorsa. «I wroteSpartacus and #IAmAndrewBreitbart» è perciò un outing in piena regola. E ora che la pentola è scoperchiata, proprio come il personaggio tipico di una delle sue serie tv, Knauf straborda. Si piazza di notte di fronte al pc e sfida sul web l’odio intollerante della sinistra americana, provoca e risponde a chiunque sia così pazzo da gettarsi nella discussione con la stessa veemenza politicamente scorretta di Andrew Braitbart.
Passano pochi giorni. A pioggia ne arrivano altri. Uno su tutti, Gerald R. Molen, produttore di Rain Man, Minority Report, Twister, Schindler’s List e Jurassic Park. Un mostro sacro. Molen scrive una lettera aperta ai suoi colleghi di Hollywood con la quale fa mea culpa, rende onore a Breitbart e trova il coraggio di dire che appoggiare Obama è stata una follia compiuta in onore del politicamente corretto.Il messaggio all’altra faccia di Hollywood è chiaro: ora che Breitbart non c’è più, occorre uscire dal guscio e combattere le battaglie in prima persona. #IAmAndrewBreitbart