(Culture) War on terror
Il Regno Unito è ancora sconvolto per l’assassinio di Lee Rigby, avvenuto in pieno giorno, in piena Londra, ad opera di due radicali islamici, cittadini britannici. Negli Stati Uniti si vivono ancora i postumi dell’attentato di Boston, del 15 aprile scorso: appena tre giorni fa, il ceceno Ibragim Todashevun, sospettato di aver partecipato a un triplice omicidio nel 2011 e in contatto con gli attentatori (i fratelli Tsarnaev), ha aggredito i poliziotti che lo stavano interrogando ed è stato ucciso sul colpo. Contemporaneamente, Barack Obama ha spiegato pubblicamente le ragioni della giusta guerra contro il terrorismo, condotta anche con aerei senza pilota, i droni, nelle valli del Pakistan e dell’Afghanistan, promettendo una maggior trasparenza nelle operazioni e una maggior attenzione ad evitare vittime collaterali.
I due aspetti della guerra al terrorismo, gli attentati nel cuore delle città culla dell’Occidente e i raid dei droni in Oriente, stridono alle orecchie di chiunque. Michael Adebolajo, cittadino britannico di famiglia cristiana, si è convertito all’Islam nel 2003 e, anno dopo anno, si è radicalizzato. Era il periodo delle grandi marce pacifiste contro la guerra in Iraq. La furia assassina di Adebolajo si è caricata in quel contesto: non di pace, ma di lotta all’Occidente, in Occidente. Si era avvicinato al gruppo fondamentalista Al Muhajiroun, ora fuori legge in Gran Bretagna. Un video del 2007 lo ritrae con il cartello di protesta anti-razzista “Crociata contro l’Islam”. Pensava di andare a combattere in Siria, poi ha cambiato idea: si possono ammazzare soldati inglesi anche in Inghilterra. È più facile e si rischia meno. La sua “tesi”, rivendicata in un video è chiarissima: finché le truppe britanniche combatteranno in Paesi islamici «Nessuno di voi potrà dirsi al sicuro (…) Noi abbiamo fede in Allah e non finiremo mai di combattervi». Assieme al suo quasi omonimo Michael Adebolawe, anch’egli un radicale islamico britannico, ha assassinato a sangue freddo un soldato disarmato, Lee Rigby. Il militare aveva alle spalle un turno di servizio in Afghanistan, ma difficilmente i suoi due assassini si erano documentati sulla sua vita prima di pugnalarlo e sgozzarlo per strada. Era semplicemente un militare britannico e come tale un “nemico”.
La storia degli attentatori di Boston è stranamente simile, benché calata in tutt’altro contesto. I fratelli Tsarnaev erano ceceni, ma naturalizzati statunitensi. Sono sempre stati musulmani, ma solo negli ultimi anni si erano avvicinati agli ambienti radicali. Tamerlan Tsarnaev, il maggiore dei due, la mente dell’attentato (stando a quanto è stato finora ricostruito) seguiva le prediche di odio degli imam fondamentalisti su
YouTube, si era riempito di materiale di propaganda jihadista ed aveva passato un lungo periodo nel Daghestan, la regione del Caucaso settentrionale conosciuta dai russi come una delle peggiori incubatrici del terrorismo. Anche quel poco che Tsarnaev ha detto delle sue idee rivela la stessa retorica di Adebolajo: lotta contro l’imperialismo statunitense nei Paesi musulmani, voglia di vendicare i caduti nelle guerre contro gli Usa, ecc…
Un pacifista accosterebbe le notizie del discorso di Obama sui droni e degli attentati in Occidente per confermare la sua tesi: “Ecco, vedete? La nostra violenza alimenta la loro violenza”. Una persona che soffre di gravi amnesie potrebbe anche dar retta a un argomento del genere. Ma se solo ci ricordiamo di cosa successe l’11 settembre 2001, possiamo capire che la nostra violenza, in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Somalia e altrove, non è affatto gratuita. Si può discutere sui dettagli (l’Iraq era necessario, sì o no? In Afghanistan si poteva agire diversamente, sì o no? I droni sono un’arma legittima, sì o no?) ma non c’è alcun dubbio che da 12 anni a questa parte tutti i Paesi occidentali, chi più chi meno, sono impegnati in una guerra contro il terrorismo jihadista.
Quel che stride, fra le due notizie, semmai, è il senso di impossibilità di vittoria nella guerra al terrorismo. Bin Laden è stato ucciso, ma Al Qaeda è più forte che mai e sta vivendo il suo momento di gloria nella guerra civile siriana, oltre a uccidere civili musulmani tutti i giorni in Iraq e in Afghanistan. Obama autorizza gli omicidi mirati dei leader jihadisti usando droni e forze speciali. Ma i terroristi colpiscono impunemente a Boston e a Londra, perché sono nati o cresciuti nelle città che scelgono come loro bersagli. E contro i loro i droni sono inutili. Inutile soffermarsi sull’inutilità dei controlli agli aeroporti o sull’introduzione di leggi più severe sul porto d’armi: i nuovi terroristi vivono sul luogo del delitto, non prendono aerei, usano pentole a pressione, diserbanti o coltelli per massacrare le loro vittime.
La lotta al terrorismo non si riesce a vincere, perché manca un’arma fondamentale alle forze armate occidentali che la stanno combattendo. Non si è mai fatta, né si fa tuttora una vera guerra culturale. Tutti gli eserciti vincitori della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, hanno combattuto una campagna non guerreggiata, fatta di parole e valori, al fianco delle operazioni militari vere e proprie. Una guerra che serve, non tanto a demonizzare il nemico (che sarebbe roba da regimi totalitari), quanto a smontarlo, disarmarlo, dimostrare l’inutilità e l’infondatezza delle sue ragioni. Ecco, nella guerra al terrorismo manca completamente questa dimensione. Il nemico non viene neppure definito e nemmeno chiamato “nemico”. Lo stesso termine “terrorismo” confonde un metodo di lotta (il terrore contro i civili) con il suo fine. Per paura di confondere l’ideologia islamista, o jihadista, con il mondo musulmano nel
suo complesso, l’Fbi ha addirittura rimosso ogni riferimento ideologico e culturale dai suoi manuali di addestramento. Come se durante la Seconda Guerra Mondiale la maggior preoccupazione degli Alleati fosse quella di non confondere i tedeschi con i nazisti…
Ci devono ancora pensare i privati cittadini a combattere la guerra culturale. Nell’attentato a Londra è risultata utile, molto più dei miliardi di sterline spesi per mantenere un corpo di spedizione in Afghanistan, una singola signora, di nome Ingrid Loyau-Kennett, che ha parlato con gli attentatori dopo che questi avevano sgozzato Lee Rigby, distraendoli, prendendo tempo prima dell’arrivo della polizia e impedendo loro di fare altre vittime. Ingrid ha avuto il coraggio di dire in faccia a Michael Adebolajo, dopo aver ascoltato il suo pistolotto sulla guerra dell’Islam contro l’Occidente: «Ora sei solo tu contro tanta altra gente, stai perdendo la tua guerra, cosa intendi fare?». Questo è il discorso che si dovrebbe fare a tutti, nelle scuole, nelle forze armate, nei mass media. E che dovrebbe essere l’Abc di una guerra culturale. Che non c’è.